martedì 28 aprile 2015

"Vero, verissimo, anzi virtuale" di Stefano D'Anna

Uomini-sole, uomini-luna

Il 99,9% dell’umanità si sveglia al mattino con la rinnovata convinzione che il mondo, attraverso circostanze ed eventi, decide la nostra vita. Con ogni nostro pensiero rinnoviamo la fede nell’onnipotenza di una realtà esterna che ha gli strumenti per fare di noi ciò che vuole; può innalzarci o abbatterci, proteggerci o eliminarci.  Il mondo nella nostra immaginazione è così diventato una divinità capricciosa e incontrollabile, da cui diìpende tutta la nostra esistenza. Una divinità da adorare, da blandire, da propriziare. Da questa visione nascono gli uomini-luna, reattivi, controllati dal mondo esterno. Il credere che il mondo sia la causa invece che l’effetto della sua creazione scaraventa l’uomo fuori dal paradiso. Solo pochi tra i pochi credono che la realtà esterna sia una proiezione del proprio essere e che niente é fuori di noi. Non esiste un’autorità esterna che abbia il controllo, che governi la nostra vita. Ogni evento per poter accadere deve attraversare la nostra psicologia ed ottenere il nostro consenso. Questi sono gli uomini proattivi, uomini-sole, capaci di brillare di luce propria.

E mentre gli uomini-luna sono identificati con l’esterno ed ogni cosa è un pretesto per proiettarsi fuori e distrarsi da se stessi, gli uomini-sole colgono ogni opportunità per tuffarsi in se stessi, per occupare ogni atomo, ogni molecola di sé. 

La vera letizia (o il vero successo)
Per rendere chiaro in che cosa consista la rivoluzione psicologica che stiamo annunciando, riporto il racconto lasciatoci da Francesco d’Assisi, da lui stesso dettato. Questa lettura è fondamentale per capire cosa sia il vero successo per un uomo santo/sano/integro. E’ il racconto di una vittoria interna, creativa. E’ il vagito di una nuova specie, antesignana di un’umanità guarita dal dolore, dal dubbio, dalla conflittualità.
Al di là della dinamicità degli eventi, oltre la varietà delle situazioni, egli sa che il mondo è il suo specchio e che l’immagine riflessa è sempre la sua.


(Dai “commenti” di San Francesco)

Lo stesso [fra Leonardo] riferì che un giorno il beato Francesco, presso Santa Maria [degli Angeli], chiamò frate Leone e gli disse: "Frate Leone, scrivi". Questi rispose: "Eccomi, sono pronto". "Scrivi - disse - quale è la vera letizia".
"Viene un messo e dice che tutti i maestri di Parigi sono entrati nell’Ordine, scrivi: non è vera letizia. Così pure che sono entrati nell’Ordine tutti i prelati d’Oltr’Alpe, arcivescovi e vescovi, non solo, ma perfino il Re di Francia e il Re d’lnghilterra; scrivi: non è vera letizia. E se ti giunge ancora notizia che i miei frati sono andati tra gli infedeli e li hanno convertiti tutti alla fede, oppure che io ho ricevuto da Dio tanta grazia da sanar gli infermi e da fare molti miracoli; ebbene io ti dico: in tutte queste cose non è la vera letizia". "Ma quale è la vera letizia?".
"Ecco, io torno da Perugia e, a notte profonda, giungo qui, ed è un inverno fangoso e così rigido che, all’estremità della tonaca, si formano dei ghiacciuoli d’acqua congelata, che mi percuotono continuamente le gambe fino a far uscire il sangue da siffatte ferite. E io tutto nel fango, nel freddo e nel ghiaccio, giungo alla porta e, dopo aver a lungo picchiato e chiamato, viene un frate e chiede: "Chi è?". Io rispondo: "Frate Francesco". E quegli dice: "Vattene, non è ora decente questa, di andare in giro, non entrerai". E poiché io insisto ancora, l’altro risponde: "Vattene, tu sei un semplice ed un idiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te". E io sempre resto davanti alla porta e dico: "Per amor di Dio, accoglietemi per questa notte". E quegli risponde: "Non lo farò. Vattene al luogo dei Crociferi e chiedi là". Ebbene, se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia e qui è la vera virtù e la salvezza dell’anima".


Vero, verissimo, anzi virtuale

La profondita’ di questa parabola e’ insondabile. Il racconto di Francesco e’ uno dei documenti piu’ preziosi dell’umanita’. Il suo viaggio da Perugia, attraverso una notte d’inverno, nel fango, nel freddo e nel ghiaccio, l’offesa e il rifiuto ad accoglierlo nel suo stesso convento, non avvengono nel mondo delle ipotesi ma in una vera e propria realta’ virtuale. Francesco si immerge in una situazione simulata, da lui stesso creata, e mette alla prova la sua impeccabilitita’. Il vero successo non e’ il consenso, l’ammirazione degli altri, l’affermazione di una superiorita’ e neppure la miracolosita’, che possono essere perduti, ma qualcosa di piu grande: un tesoro che non conosce ladri ne’ ruggine: la propria integrita’.
E’ questo il quantum jump nell’intelligenza che e’ stato il grande tentativo fatto dalla Cristianita’, più grande dell’esodo biblico, più epico della rivoluzione di Spartaco: traghettare l’uomo dalla sponda di una specie ancora zoologica, sub-umana, a quella di esseri integri, completi.
Il passaggio dal comandamento veterotestamentaio: non commettere adulterio, a quello evangelico: non desiderare la donna d’altri, è un salto di anni luce nella coscienza. Segna il vagito di una umanità psicologica, capace di prendere responsabilità del proprio pensare, consapevole della propria interiorità.
Qui, millenni prima dell’era digitale e dei videogames, l’uomo acquistava coscienza dell’esistenza di un mondo verticale a quello sensibile, di una realtà apparentemente invisibile eppure più vera del vero.  Agendo e intervenendo sui propri stati, studiandosi e acquistando consapevolezza di pensieri ed emozioni e di ogni più piccolo moto dell’animo, l’uomo diventa padrone di sé e arbitro unico del proprio destino.  Il cambiamento di un solo atomo nell’essere sposta montagne nel mondo degli eventi. Dalle buie foreste dei nostri neuroni, tra le cave pareti dell’essere, possimo modellare il mondo esterno, trasformare ostacoli  apparentemente insormontabili in lievi gibbosità  su cui poggiare il piede e andare oltre.


                             "Lezioni di Economia dal Vangelo" il nuovo libro di Stefano D'Anna




                                              "L'Auto-osservazione" raccontata da Francesca Del Nero
                                                       fondatrice di School for Dreamers

mercoledì 22 aprile 2015

"Potere finanziario e amore" di Stefano D’Anna

Veleggiando nell’aria dolce del Mediterraneo; osservavo le sue acque lucenti dense come olio, aprirsi davanti alla prua. Da quelle spume era nata Venere; su quelle onde Roma e Cartagine e civiltà innumerevoli avevano combattuto il loro duello mortale, su esse aveva vagato Ulisse. Il suo blu profondo aveva visto Regolo diretto verso il suo destino e Colombo portare in Spagna il sogno di una nuova via alle Indie. Ero ancora un bambino quando nei corridoi del Collegio Bianchi ero rapito dalle immagini dei miti racchiusi nelle austere cornici: Coclite che difendeva il ponte, Scevola che bruciava la mano che aveva sbagliato sul braciere davanti a Porsenna, Leonida che si batteva alle Termopili…. “Qui giacciamo perché non accettammo di vivere gettando la vergogna sulla terra che ci generò…”.
Che cosa sarebbe stato della nostra civiltà senza questi uomini? Cosa, come saremmo senza Scipione, che a 19 anni rimette insieme l’esercito ormai distrutto di Roma, o senza le parole di Cesare ai suoi uomini, che temono i germani e vorrebbero abbandonare, alla vigilia di quella battaglia che scongiurerà, e allontanerà dall’Impero per trecento anni, la minaccia dei barbari.
Le antiche regge carbonizzate, le tombe degli eroi, le selve formate dalle colonne dei templi a metà abbattute che si specchiano sulle sue acque, ricordano la morte di innumerevoli civiltà. Eredi di tanta storia, siamo seduti su una pietra tombale.

Così questa estate, veleggiando sul mare nostrum pensavo a Cartagine, ad Alessandria, a Venezia, che tutte, dopo Tiro, sono state grandi sugli stessi mari, e riflettevo sulla loro caduta. Qualunque epoca consideriamo, troviamo grandezza seguita da rovina. E un brivido accompagna il pensiero che anche la nostra civiltà è minacciata e da tempo mostra i sintomi della sua sparizione.  

IL DR JECKYLL E MR HIDE

L’uomo è per sua natura, a causa della sua stessa evoluzione filogenetica, un essere culturale, e cioè il risultato di un sottile equilibrio tra i suoi istinti primordiali e la capacità di dominarli responsabilmente. Istinti ancestrali e educazione alla responsabilità sono i due profili della nostra realtà; essi, come un Giano bifronte, formano un sistema unico all’interno del quale queste due componenti stanno tra loro in un preciso equilibrio. L’uomo così come lo conosciamo, e le sue civiltà, sono il risultato di un lungo processo. Come funamboli procediamo sul filo, passo dopo passo, in bilico tra il nulla e l’eternità.

BREVE STORIA DEL POTERE

Due secoli fa il potere era associato con la proprietà della terra. Prima del pionierismo europeo e delle tecniche agrarie intensive la terra era scarsa e dominava tra i classici fattori della produzione. Allora il potere fu del titolo fondiario. Poi passò di mano, sull’onda di rivoluzioni sempre più accelerate e possenti. Con l’accumulazione agraria, l’avvento del capitalismo e dell’industria su larga scala, la terra fu detronizzata e il potere fu del capitale finanziario. Quando i capitali mobili giunsero ad essere abbondanti (siamo intorno agli anni sessanta) con il passaggio del risparmio alle Corporations, fu poi la volta del Capitale, che aveva perso preziosità, ad essere spodestato a vantaggio di quel fattore della produzione che si chiama “capacità imprenditoriale”. Nell’allora nascente società tecnologica, divenne preziosa la risorsa degli “uomini dell’organizzazione”. Perfino la fase del manager-persona, erede immediato dei poteri del capitalista e del capitano d’industria, apparve superata e il potere passò alla conoscenza organizzata in ‘tecnostruttura’, ai centri depositari del know-how tecnoscientifico e manageriale. Al manager subentrò collettivamente il management, il potere di gruppo. Dinanzi ai problemi complessi delle nuove tecnologie e della pianificazione solo il team sembrò avere le nozioni necessarie per prendere decisioni sempre più complesse in un ambiente caratterizzato da rapidi, spesso imprevedibili cambiamenti. 

LA RISORSA PIU’ CRITICA DEL PIANETA

Occorrono scuole ed università sovversive di questo processo di omologazione e di massificazione, di questo penoso ingabbiamento delle capacità dell’uomo, che eufemisticamente ancora chiamiamo educazione. Occorrono scuole ed università che producano le cellule sane di una nuova umanità; che da umilianti e debilitanti palestre mentali, alle quali si sono ridotte, si trasformino in fucine di uomini speciali, leader visionari, sognatori pragmatici capaci di rimuovere le stratificazioni e la nuvolosità che hanno cancellato dalla storia civiltà una volta opulente e gettato in rovina intere nazioni, relegandole nella povertà e nel sottosviluppo.

L’IDEA DI SCARSITA’
Ancora crediamo che l’ostacolo principale contro cui si infrangono i nostri progetti, le nostre speranze di una società più ricca e civile, i nostri sogni più ambiziosi, sia la scarsità delle risorse finanziarie o naturali; ed é la scarsità l’idea su cui si fonda tutta l’economia e la gestione delle nostre risorse. Mi riferisco a quella sciagurata convinzione, trasmessa in mille modi e attraverso scuole di sciagura e maestri di sventura, che le risorse del pianeta sono come una coperta corta: se la tiri da una parte, scopre l’altra. Il corollario dell’idea della limitatezza delle risorse disponibili è che se qualche paese può essere ricco, la gran parte degli altri deve essere povero. Quest’idea si è talmente radicata in ogni uomo, da essere ormai diventata una seconda natura, una sorta di coscienza di scarsità che ci accompagna per tutta la vita, che ha dato forma al nostro pensare, e che guida ogni nostra scelta.  La verità è che la vera penuria, la condizione di paucità più preoccupante e limitante, è la mancanza di uomini capaci di sostenere la responsabilità di un sogno di prosperità, di idee ampie e feconde, di crederci con tutte le proprie forze, e di pagarne in anticipo il prezzo.

LA TERZA DIMENSIONE

Oltre l'etica, prigioniera del tempo-spazio, verticale ad essa  c’è un'etica oggettiva, una morale della morale, un sistema di valori immutabile che, come l’aggiunta di una terza dimensione, realizza il passaggio dell'intero piano etico-economico ad uno spazio tridimensionale.
L'ampliamento della visione a questa terza dimensione è un contributo di straordinaria importanza per la comprensione, la spiegazione, la previsione dei fatti economici, ed anche per la scelta degli interventi più efficaci per ampificarli e migliorarli.
Sulla scorta dei nuovi orizzonti che ci vengono dischiusi da questo ampliamento della visione ad una realtà bidimensionale etico-economica, è possibile una spiegazione del sottosviluppo, del mancato progresso dei paesi economicamente arretrati o depressi con motivi essenzialmente connessi al loro sistema di valori. Esiste un'equazione tra il sistema dei valori morali di un paese ed il suo destino economico. Se l’universo etico di un paese subisce un processo involutorio per una lenta e graduale essiccazione dei suoi valori a questo corrisponde un declino dell'economia.

Anche tutti i malanni delle economie avanzate, come la criminalità del benessere, in realtà trovano la loro origine in uno sviluppo puramente meccanico e materiale. La vera differenza, da cui ogni altra differenza si produce ed è poi visibile nel diverso grado di sviluppo dei sistemi economici, tra paesi,  è la diversa ampiezza, ricchezza del loro sistema di valori. L'equazione tra etica ed economia si può così enunciare: più ricco il sistema dei valori morali di un paese più ricca la sua economia. Se le idee di una società si amplificano, se il suo sistema dei valori si innalza, se la visione dell’umanità si evolve, anche l’economia si arricchisce.
Per questo tutti gli sforzi di decenni tesi ad agire sull'effetto, per esempio a trovare soluzioni al sottosviluppo endemico del terzo mondo, sono deludenti e frustranti. La capacità di prosperità di un paese, come di un uomo, non si può indurre dall'esterno, intervenendo sulla loro economia.
Non ci sono scorciatoie possibili.
Solo un sistema di valori morali più capace di sostenere la responsabilità di una maggiore ricchezza, può modificare realmente un sistema economico o il patrimonio di un uomo.







giovedì 9 aprile 2015

"Libertà e Falsa Libertà" di Stefano D'Anna


Nel 1955 Rose Parker viene arrestata per essersi rifiutata di cedere il suo posto all’arrivo di un bianco mentre viaggiava su un bus di linea. Meno di quarant’anni più tardi Billy Wilder, nipote di schiavi, viene eletto governatore della Luisiana. E neri saranno poi in progressione il sindaco di New York ed il Governatore di Washington. Immaginate per un momento che cosa sarebbe accaduto se quattro decenni non avessero opportunamente distanziato questi eventi. Cosa sarebbe accaduto se il tempo fosse stato risucchiato, come l’aria sotto la campana di vetro nei nostri esperimenti di fisica al liceo; se, quei quaranta anni si fossero compressi in un istante? Sarebbe stata la pazzia. Avremmo visto uomini bianchi buttare giù un nero dal bus e l’istante dopo scrollargli la polvere dal vestito per votarlo governatore o sindaco.
Il tempo è un ammortizzatore, una pietosa cortina che ci protegge e ci impedisce di vedere quello che non siamo ancora pronti ad accettare.



Il tempo è un ammortizzatore, una pietosa cortina che ci protegge e ci impedisce di vedere quello che non siamo ancora pronti ad accettare.

Ricordare il futuro
Occorreranno all’America quarant’anni per poter accettare, e vedere espressa nella realtà sociale, quella comprensione che Rose Parker e i leader neri avevano già raggiunto attraverso il loro “sogno” di libertà. Come tutti i sognatori, come tutti i tuffatori dell’invisibile, essi avevano il dono di comprimere il tempo e di ricordare il futuro, vedere quello che gli altri avrebbero visto ed accettato solo molti anni dopo. Perché il sogno di essere liberi precede la libertà, come la regalità viene prima del regno. E’ l’innalzamento della coscienza che crea la libertà. Ma come ogni guarigione, la libertà procede dall’interno all’esterno e non è possibile dare ad un uomo, come ad un popolo, un grado di libertà cui non é preparato.

giovedì 2 aprile 2015

"L’ECONOMIA E’ L’ARTE DEL SOGNARE" di Stefano D'Anna

                                         IL TRAMONTO DELL'ETA' IMPIEGATIZIA
La nostra epoca assiste con apprensione crescente all'aumento della disoccupazione. Da anni i posti di lavoro si assottigliano a centinaia di migliaia in tutto il mondo e la possibilità di trovare un lavoro dipendente, soprattutto per le nuove generazioni, appare sempre più remota. Al punto che la maledizione biblica “con il sudore del tuo volto ti guadagnerai il pane” sembra in questi anni essersi trasformata in una maledizione ancora più terribile. Eserciti di giovani sono minacciati non tanto di sudare e affaticarsi quanto di non riuscire neppure a varcare la soglia del mondo del lavoro e delle professioni.

E’ nei settori più tradizionali dell'economia che sono più palesi i segnali che la lunga età impiegatizia sta tramontando, e con essa il mito del “posto fisso”.
Per ogni posto di lavoro dipendente che sparisce nei settori più tradizionali dell'economia e nei lavori impiegatizi nuove professioni e intraprese ne prendono il posto nei moderni settori del business, lungo le nuove frontiere dell'economia tracciate dall'industria del tempo libero, dell'ospitalità, dell'arte e della musica, dello spettacolo, dello show business e, in generale, dall'industria dell'entertainment.
I White collars si avviano a diventare una specie in estinzione e l’età impiegatizia, che per due secoli, dal tempo della rivoluzione industriale, si era progressivamente affermata nelle società avanzate, è così giunta a un giro di boa.
L'età impiegatizia, nella sua versione più moderna, ebbe origine circa due secoli fa, quando si cominciò a considerare il tempo come una merce, quando cioè si concepì possibile comprare il tempo degli uomini invece di ciò che essi producono: beni, servizi e idee.
Questo avvenne con la nascita delle grandi imprese, e la necessità, conseguente alla rivoluzione industriale, di disporre di un esercito di milioni di lavoratori "dipendenti", operai o impiegati, pronti a vendere il lavoro delle proprie braccia o il proprio tempo a prezzo fisso, un tanto all'ora o al mese.
Il lavoro dipendente, come moderna versione del lavoro servile, nelle massicce proporzioni che ha assunto, è quindi un fenomeno contemporaneo. Mai prima tanti uomini avevano vissuto una condizione di semi-schiavitù con l'illusione di essere liberi.