Agli individui dobbiamo dunque
tutto quello che siamo e che abbiamo; eppure li abbiamo perseguitati, quasi
senza eccezioni. Là dove nasce un individuo immediatamente si mette in moto una
forza antagonista, una massa pronta ad eliminarlo. E questo giuoco mortale a
guardie e ladri tra individuo e massa, iniziato nella notte dei tempi, ancora
continua ed è il nodo gordiano della visione politica. L'eccidio degli
innocenti è sollevabile a paradigma scientifico universale.
La massa è antagonista
dell'individuo. Lo è sempre stata, senza eccezioni, ed ha disprezzato i suoi
saggi sotto ogni latitudine ed in ogni tempo. L'individuo è vivo, la massa è
antibiotica. E la lotta tra individuo e massa, la persecuzione
dell'individualità, è una costante della nostra storia. Abbiamo bisogno
dell'individuo, e allo stesso tempo, come specie, abbiamo un insopprimibile
istinto di sopprimerlo.
Questo è il paradosso della nostra
civiltà, il meno esplorato, il più oscuro, perchè ha le sue radici nella parte
più profonda del nostro essere, là dove ancora echeggia l'ululato di un
predatore notturno, l'eco di una nostalgia animale. Quando nasce un individuo è
come se in mezzo a un'orda di leoni intenti a dilaniare e spartirsi la preda,
uno di essi si rizzasse sulla zampe posteriori, si apparecchiasse la tavola e
usasse le posate. Verrebbe sbranato all'istante.
L'individuo ci spaventa, la
vastità delle sue idee, la sua fiducia incrollabile in se stesso, l'ampiezza
della sua visione, la sua compattezza interiore, la sua luminosità, ci mettono in
una condizione di dolorosità insopportabile e di fronte a un sinallagma
vertiginoso. Nel Contratto Sociale di Rousseaux è riportato che, secondo
Filone, così ragionasse l'imperatore Caligola::
o i popoli erano bestie, e quindi i re erano uomini, o i popoli erano fatti di
uomini e allora i re erano dèi.
Soltanto incontrare un individuo,
o ascoltarne la voce, o vederlo agire, ci mette di fronte alla nostra pigrizia,
alla nostra bruttezza, alla nostra insopportabile deformità.
Lo sforzo richiesto per cambiare è
troppo grande. Preferiamo eliminare il termine di confronto. Un colpo di
martello al grillo parlante, la soppressione di questa voce che
instancabilmente ci spinge ad essere di più, a diventare migliori, appare ogni
volta la soluzione più semplice. Nell'isola di Efeso, quasi tremila anni fa, si
fece un esperimento sociale ed uno dei primi tentativi registrati storicamente
di eliminare l'individuo una volta e per tutte. Secondo Eraclito "gli
abitanti di Efeso hanno scacciato Ermodoro, il migliore di loro, dicendo: non
vogliamo avere nessuno che sia migliore tra noi; se c'è qualcuno che lo è, se
ne vada altrove, tra gli altri".
Per questa cecità della massa
Eraclito disprezza la folla. Non era chiaro allora, neppure ad uomini come
Eraclito, e tantomeno lo è oggi, a uomini come noi, che la storia è dialettica
e che l'agonismo tra individuo e massa, come tutti gli antagonismi, è creativo
ed insopprimibile. La soppressione dell'antagonista, qualora riuscisse, si
riverberebbe in una crisi tanto più ardua quanto più è imponderabile il vuoto
che si spalanca davanti al vincitore. Ad una visione verticale, massa e individuo si mostrano come una sola realtà, due pistoni dello stesso motore. L'una non potrebbe esistere senza l'altro, così
come non è immaginabile un bastone che abbia una sola estremità. Essi sono
aspetti inseparabili di un'unica realtà.
L'unità dell'essere
L'imperatore della tradizione cinese classica nei momenti di difficoltà per l'impero si ritirava nella parte più segreta del tempio per incontrare le porte del tutto. Immobile, con il viso rivolto verso sud, provvedeva con le sue virtù superumane a che tutto l'impero restasse in accordo con il Decreto del Cielo. Egli, mentre il nemico si avvicinava, sapeva che la battaglia andava prima vinta interiormente, che doveva superare i limiti dentro di sé. Quando
aveva vinto i suoi limiti e sentiva la vittoria dentro, solo allora sarebbe
arrivato un alleato o l'esercito avversario si sarebbe disfatto da solo, per
malattie, per lotte interne o per qualche altro motivo.
Individuo deriva da indivisibile. Indica un uomo che ha raggiunto una
compattezza interiore, un grado elevato di affidabilità, di incorruttibilità,
di amore; che è riuscito a far convergere verso una sola direzione tutto quello
che sente, che fa, che dice, che pensa. L'uomo di massa, che potremmo a questo
punto chiamare "dividuo", è invece una legione, diviso tra mille 'io'
in lotta perenne tra loro, lacerato da pensieri ed emozioni contrastanti,
diviso da se stesso e dagli altri, senza lealtà, senza idee, senza amore.
La vera immagine dell’uomo
ordinario non è quella patetica di Charlie Chaplin in “Tempi moderni”, vittima
negli ingranaggi di una civiltà industriale, o almeno non lo è più da tempo;
l’immagine dell’uomo è forse più quella di Woody Allen che di fronte a una
donna desiderabile e bellissima che entra nel suo appartamento diventa uno
spastico: i suoi pensieri, i suoi desideri e le sue parole viaggiano in
direzioni completamente diverse. Quest’uomo frammentato, incapace di puntare in
una sola direzione e di mettere insieme il pensare, il desiderare e il sentire,
è certamente l'immagine crudelmente più emblematica della condizione dell’uomo
ordinario. Potremmo dire, se dovessimo risalire all’origine di tutti i mali che
uscirono dal vaso di Pandora, che la causa delle cause di tutti i problemi che
affliggono l’umanità è questa mancanza di unità dell’uomo.
Nella tradizione
giudaico-cristiana il peccato originale è la divisione da Dio, la prima e più
insanabile delle divisioni. L'individuo che ha raggiunto l'unità dell'essere
sembra essere senza questo peccato originale. E questo gli dà la capacità di
amare. Questa capacità appare come il più chiaro spartiacque tra gli uomini e
il confine più netto tra queste due porzioni di umanità: gli individui e la
massa. Se proviamo a rovesciare i termini di quella straordinaria equazione
interiore: "ama il prossimo tuo come te stesso", essa mostra una
inarrivabile conoscenza dell'animo umano. Amare se stesso è la misura ed allo
stesso tempo il limite della capacità di amare gli altri. Questa è ancora oggi
la visione più alta e la formula più potente per l'armonizzazione dell'eterno
antagonismo tra individuo e massa.
L'individuo riesce ad amare la
massa attraverso la comprensione che il prossimo suo è se stesso; che
l'altro, l'opposto, non deve essere combattuto. Più lo combattiamo e più ci
dividiamo. E questo spazio crea dolore, sofferenza, ignoranza. L'altro deve
essere assorbito, integrato. L'assorbimento elimina la divisione e porta
soluzione, dentro e fuori. Noi dobbiamo molto ai sognatori della storia, agli
utopisti, ai filantropi, a tutti quei pazzi luminosi che si sono lasciati il
mondo alle spalle senza fiato per l'incapacità di stargli dietro e che hanno
fatto avanzare la nostra civiltà. Essi sono i precursori dell'uomo verticale,
le cellule di questa nuova umanità che si sta formando e che, liberandosi dal
pensiero conflittuale, ha la possibilità di trovare soluzione a problemi che la
vecchia umanità si trascina da sempre. Ci sembra impossibile perfino immaginare
una società senza lotta, il dibattito, le controversie ed il conflitto. E' una
società capace di sognare. Per questo occorre una diversa psicologia, un
pensiero verticale che non vede più il mondo attraverso gli opposti, con una
logica binaria, ma attraverso i livelli e i gradi di una scala qualitativa.
Per cui se condotta da un uomo
verticale la politica è gioco. Se condotta da un uomo orizzontale la politica è
arroganza, vanità, prevaricazione, odio e morte.
La politica intesa come divisione
e conflitto è finita. E' morta. Essa non ha soluzioni a meno che salti di
grado, di livello, di piano..La politica come noi la conosciamo è
un'espressione statica dell'esistenza; ma resa dinamica, verticale, essa
diventa l'arte del sognare. Nasce la politica distaccata, consapevole, vista come
gioco, parte del "sogno". La leadership politica deve essere
sognante, rinnovarsi continuamente; deve diventare poesia e come tale, un
processo di integrazione dell'essere.
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