"HO SOGNATO UNA RIVOLUZIONE INDIVIDUALE. CAPACE DI CAPOVOLGERE I PARADIGMI MENTALI DELLA VECCHIA UMANITA' E LIBERARLA PER SEMPRE DAL DUBBIO, DALLA PAURA E DAL DOLORE."
La storia dell’Uomo è costellata di grandi sognatori nella cultura, nella politica, nell’economia, nella scienza e nella spiritualità, che hanno consentito all’Umanità di evolvere. Giulio Cesare, George Washington, Leonardo Da Vinci, Albert Einstein, Martin Luther King, Mahatma Gandhi, Enzo Ferrari, Steve Jobs, Adriano Olivetti, Leonardo Del Vecchio, Walt Disney, Nelson Mandela, Madre Teresa, Ataturk e così via. Il Sognatore Pragmatico trova la via di fuga dalle prigioni del tempo, dal labirinto dell’immaginazione pessimistica, dalla tirannia delle emozioni negative, dal dubbio, dalle catene della paura, dall’ossessione del giudizio altrui. Per questo è in grado di realizzare la sua visione, il suo Sogno.
Mai prima d’ora è stato indetto un DREAMERS DAY nella storia dell’Umanità. Stefano D’Anna lo ha sognato. E’ ora di farlo, di radunare tutti i sognatori pragmatici del mondo, affinché si connettano e mettano al servizio del Pianeta la loro energia, creatività, consapevolezza e intelligenza visionaria.
Insieme, con il coraggio di chi osa ribaltare i vecchi paradigmi, daremo al nostro pianeta una concreta possibilità di salvezza globale e sviluppo armonico. Conosciamoci, uniamoci, saremo così capaci di spostare montagne, di risolvere i problemi che da sempre tormentano l’Umanità. Un Sogno planetario, ha bisogno di una grande energia e del raduno di tutti quegli uomini e donne che lo testimonino con il racconto della loro esperienza. Infonderanno negli animi dei partecipanti la forza e la certezza e di potercela fare, cambiando la visione del loro essere, imparando a vivere da veri creatori della propria esistenza dando un contributo reale al ribaltamento di un sistema ormai vecchio che sta scippando l’umanità della possibilità di una vita felice per tutti.
Si può fare.
Rifondare alla radice il sistema, armonizzando gli apparenti antagonismi di sempre: economia ed etica, azione e contemplazione, potere finanziario e amore.
Si può fare.
E’ l’occasione che Il mondo aspetta da tanto tempo, dar voce alle leggi del Sogno, capovolgere il paradigma di un dilagante pensiero ordinario basato sul “vedere per credere” in “credere prima di vedere”. I visionari pragmatici chiamati all’appello arriveranno da tutto il pianeta, saranno esempio, ossigeno per l’Umanità intera, per spronarla e condurla verso l’unica direzione dell’evoluzione, dall’interno verso l’esterno e non più viceversa.
Noi di School for Dreamers grideremo con loro a gran voce: “Tutto ciò in cui realmente crediamo, da impossibile, diviene probabile e alla fine sarà, inevitabile!
IL 29 LUGLIO DI 124 ANNI FA VINCENT VAN GOGH MORIVA. Per
suicidio, anche se l’arma in realtà non è mai stata trovata. In un periodo
tardo-primaverile ed estivo, in anni diversi, ricorrono le morti
di Bruno Bettelheim, Emilio Salgari e Cesare Pavese che il 27 agosto
del 1950 pose fine ai propri giorni in una stanza d’albergo a Torino.
Nell’annotare e riflettere su queste morti volontarie, ho notato che
nella lunga lista dei suicidi illustri sembrano prevalere gli scrittori: London, Majakovskij, Virginia Woolf, Hemingway, Mishima, Primo Levi,
per citarne alcuni. Queste ricorrenze, lo spontaneo sentimento di affetto
e commozione per questi geni infelici, spingono a scrivere alcune righe
sul senso della vita e sul mistero della morte, a indagare sulle ragioni
terribili e immense di chi decide di compiere il supremo di tutti i gesti,
darsi l’ultimo di tutti i dolori. Personalmente penso che, se deciso con
lucidità e, vorrei dire, con nobiltà d’intenti, il suicidio è una scelta da rispettare,
talvolta forse da ammirare. Una frase forte per i cuori deboli e
per gli ipocriti.
Togliersi la vita era ritenuto dagli antichi Greci e Romani
un gesto coraggioso, eroico. Socrate è tuttora ammirato per aver dato
una valenza libertaria alla sua morte, trasformata in insegnamento sublime.
La sua decisione di non sottrarsi, come avrebbe potuto, alla pena
capitale decretata dai seicento giudici ha attraversato i millenni per arrivare
fino a noi e ispirarci. Nel tentativo di capire cosa può spingere un
uomo ad attraversare il muro d’ombra, potrebbe risultare utile affrontare
la questione capovolgendola, chiedendoci: se la condizione dell’uomo è
di sopportare tutte le difficoltà che la vita presenta ed essere una sorta di
pesce che nuota in un mare di guai, e se il suo destino non è dissimile da
quello di un condannato in attesa della pena capitale, senza speranza di
grazia, perché c’è una tale pervicacia, un’ostinazione a continuare a vivere,
a restare vivi? E scegliere di “non essere” è davvero una soluzione? Il destino
dell’uomo sembra sospeso sul filo di questa domanda, come quello
di un funambolo in equilibrio tra due abissi: il nulla e l’eternità. Tra il
valore della vita e il mistero della morte. Fa riflettere il fatto che il dilemma
posto da Shakespeare a mezzo del leggendario monologo di Amleto
sia diventato l’espressione più cruda e ineludibile dell’angoscia metafisica
dell’età moderna, e della sua disperazioneEssere o non essere, questo è il problema.
Se sia più nobile sopportare le percosse e le ingiurie di una sorte atroce,
oppure prendere le armi contro un mare di guai e,
combattendo, annientarli. Morire, dormire... forse sognare...
Amleto, Atto iii, prima scena
L’associazione tra sonno e morte trova le sue radici nell’età classica
che ebbe una visione inquietante del sonno. «Somnus Imago Mortis»
è la locuzione latina che associava il sonno all’immagine stessa della
morte. Non a caso, secondo la mitologia greca e romana, Hypnos
(Somnus), il dio del sonno, era non solo fratello, ma gemello di Thanatos,
il dio della morte. A malapena velato dietro il monologo di Amleto
c’è il profondo stupore di Shakespeare per l’incapacità di capire
l’attaccamento che gli uomini sembrano avere per la vita; non importa
quanto sia penosa o difficile. E nelle parole che egli fa declamare ad
Amleto c’è in realtà l’apologia del suicidio. La lista di quelli che hanno
optato per il «not to be» è lunga e include persone illustri, intelligenti
e di successo. Ma certamente diventerebbe infinitamente più lunga, tale
da comprendere la quasi totalità degli uomini, se si considera la loro
propensione a danneggiarsi, a fare del male agli altri e prima di tutto a
se stessi. Se infatti osserviamo l’umanità più attentamente, se ne studiamo
le abitudini più da vicino, notiamo che solo apparentemente un
uomo si augura bene, prosperità, salute. Se potesse osservarsi e conoscersi
interiormente ascolterebbe invece dentro di sé la recita pressoché
continua di un canto di sventura, come una preghiera a rovescio fatta
di preoccupazioni, di immagini malaugurate, in attesa di eventi terribili,
probabili e improbabili. Per cui il reale numero di quanti hanno
scelto il «not to be» dell’opzione sheakespeariana è enormemente più
vasto se vi comprendiamo l’immensa massa degli uomini nei quali la
decisione di eliminarsi è inconscia e prende molte maschere, nascondendosi
sotto le forme più varie di autosabotaggio. Il mangiare smodato,
l’abuso di droghe e alcolici, il fumare, la guida spericolata, sono
solo alcune delle opzioni disponibili di un infinito menù dove ognuno
può scegliere di cosa preferisce morire. Possono solo essere scelte più
o meno lente nel raggiungere lo scopo di autoeliminarsi.redo che la questione stia nel riconoscere l’esistenza di
uno spartiacque che divide gli uomini secondo l’appartenenza
a due visioni contrapposte. Per quelli che
credono che la vita sia «una valle di lacrime» dove nella
migliore delle ipotesi un uomo può solo attendersi
di invecchiare, ammalarsi e morire, considerare di «scendere dalla
vita» può non solo comprendersi, ma perfino attrarci, come una via
d’uscita, per quanto disperata. Ma per quei pochi tra i pochi, happy
few, che considerano la vita una «Scuola degli Dei», dove libri e compiti
sono gli eventi e le circostanze che incontriamo, e gli esami (superati
o meno) sono le nostre reazioni, e la vittoria è il modo in cui
sappiamo trasformare anche le condizioni più difficili, talvolta drammatiche
dell’esistenza, in eventi di ordine superiore, allora ogni giorno,
ogni ora, ogni istante è un dono, e l’opportunità impareggiabile,
imperdibile, di poggiare un piede, come su un gradino, e andare oltre.
La nostra vera grandezza apparirà più convincente
quando potremo creare grandi cose da cose modeste,
e da quelle penose le utili, e dalle avverse le più feconde,
e qualunque sia il luogo nel quale il male si annida,
trarre con la fatica e la costanza perf ino dal dolore la felicità.
Milton, Paradiso Perduto
C’è un buco nero nel cuore dell’uomo. Da esso nasce il fiume di
pensieri distruttivi e di emozioni negative che gli scorre dentro incessantemente
e che forse risale al suo peccato originale, alla sua cacciata
dal Paradiso. Qui ha origine il suo desiderio di morte, quella cupio
dissolvi che lo spinge a fare del male a se stesso fino a sopprimersi.
Fin dallo scoccare della prima scintilla d’intelligenza tra le pareti cave
del nostro cranio, una domanda è echeggiata nelle caverne ancestrali
e nel petto dei nostri progenitori: io chi sono? Qual è la ragione della
mia vita? Ho ritrovato questa domanda in una canzone dei Queen e
ho pensato che, se mai Amleto e il suo monologo dovessero diventare
il soggetto di un music hall rock, il suo leitmotiv non potrebbe essere
altro che The Show Must Go On. Un brano pubblicato come singolo
poche settimane prima che Freddie Mercury morisse. Inizialmente
i critici pensarono che fosse un «testamento» di Mercury, che
parlasse di quelle settimane segnate dalla malattia. Emerse in seguito
che si trattava di una poesia triste e struggente scritta da Brian May.
Empty spaces - what are we living for
Abandoned places - I guess we know the score
On and on, does anybody know what we are living for?
Spazi vuoti - perché viviamo
Spazi abbandonati - sappiamo come stanno le cose
Senza sosta, c’è qualcuno che sa per che cosa viviamo?
…..
My make-up may be flaking / Il trucco può disfarsi
But my smile still stays on / Ma il mio sorriso resta
The show must go on / Lo spettacolo deve continuare
The show must go on. / Lo spettacolo deve continuare.
Accadde d’improvviso. Fu quella volta che riascoltandola sentii
tutto il potere della sua ispirazione. Un pensiero guizzò, come un
lampo che squarcia il buio, e mi percorse come un brivido. Sì. La ragione
per cui continuiamo a vivere e sopportiamo dolori e avversità, e
tutto il mortale fardello della nostra esistenza, è che lo spettacolo deve
continuare. Non sappiamo perché, non sappiamo chi è il pubblico,
e neppure sappiamo per quanto tempo dobbiamo recitarlo. Sappiamo
solo che non possiamo abbandonare. The show must go on. Fino
a quando un giorno, come nella storia di Pinocchio, da marionette
biochimiche diventeremo veri uomini. Allora sapremo come eliminare
in noi ogni forma di autosabotaggio e come fare il passaggio
dal conflitto all’armonia, dalla schiavitù alla libertà, dalla moltitudine
all’individuo. The show must go on. Significa che come specie e come
individui porteremo avanti questa impresa impossibile, tesi allo spasimo
verso questo traguardo irraggiungibile, questo asintoto intoccabile,
finché un giorno, nuotando contro la corrente dei millenni, assisteremo
al più grande, al più maestoso spettacolo del mondo: la riconquista
della nostra integrità, del nostro paradiso perduto e, forse,
alla sconfitta della morte che anch’essa ha una dignità e sparirà quando
non ci farà più paura e avremo smesso di crederci.
Guarda il nuovo video di Francesca Del Nero: "Qual é il tuo scopo nella vita?"
L’umanità è divisa in due specie che sembrano convivere fianco a fianco ma di fatto sono segnate
da un destino del tutto diverso. Uno spartiacque mentale, una insanabile divergenza di atteggiamenti
e diversa visione del mondo e della vita, separa la massa, quelli che hanno bisogno di vedere per
credere, da quella manciata di individui, pochi tra i pochi, che hanno la capacità di credere prima di
vedere. Questi uomini hanno il potere di ricordare il futuro, consapevoli del fatto che il sogno è la
cosa più reale che ci sia e la loro follia luminosa è in grado di modellare la realtà. Ad essi dobbiamo
ogni progresso, ogni nostra conquista. Essi sostengono il mondo.
“Un uomo che crede in se stesso apparentemente fa un passo nel vuoto e, solo allora,
immancabilmente, vedrà il terreno materializzarsi sotto il suo piede per dar ragione alla sua pazzia
luminosa… credere per vedere e mai viceversa!”. (da La Scuola degli Dei di Stefano D’Anna)
L’umanità pensa e sente negativamente, per questo solo pochi possono nutrire sogni o coltivare
utopie. Le masse sono adoratrici dello status quo, spaventate da tutto quanto è sconosciuto o
insolito. La paura del nuovo le destabilizza e le acceca. E in effetti i grandi spiriti dell’umanità
hanno tutti subito una violenta, talvolta feroce opposizione da parte delle moltitudini perché il
mondo che essi hanno immaginato è ad esse invisibile e quindi le elude e le spaventa. La vastità
delle loro idee, la ferrea fiducia nella loro giustezza, la portata della loro visione e la loro Integrità ci
pongono come davanti a uno specchio, obbligandoci a confrontarci con noi stessi. E questo
paragone è così doloroso che invece di provare a cambiare per essere di più e diventare migliori,
preferiamo eliminare il termine di confronto.
In tutta la nostra storia il cambiamento non si è mai originato dalla massa né da un sistema di
convinzioni o di idee diffuse; e neppure da una filosofia, da una rivoluzione o da un partito politico.
Il cambiamento è sempre stato il prodotto della fede e dello sforzo di un uomo solo, determinato.
Un individuo. Il mondo ha bisogno uomini capaci di sognare l’impossibile e dargli concretezza
attraverso la loro fede tenace, la capacità di impegnare ogni respiro della propria vita per renderlo
possibile e poi inevitabile. Non esiste scuola né ci sono mentori che ci abbiano insegnato insegnato
ad avere fede, a sviluppare in noi stessi le qualità di uomini visionari, il potere di credere prima di
vedere.
Il Mito, il Sogno, gli impulsi del cuore e la capacità di ricordare il futuro hanno costruito la nostra
civiltà e continueranno a precedere e originare qualsiasi progresso o cambiamento evolutivo. Nella
costruzione del futuro, nella realizzazione dei progetti più arditi dell’umanità, il sogno di Icaro verrà
sempre prima dei fratelli Mongolfier e dei fratelli Wright. Quel mitico palpito di ali,
apparentemente così fragili, farà per sempre vibrare l’aria e anticiperà di millenni il rombo dei
moderni motori di Boeing e Jumbo jet.