mercoledì 12 agosto 2015

"Parliamo di felicità" di Stefano D'Anna


Parliamo di felicità, la inseguiamo per tutta la vita, mettiamo ogni  impegno sperimentando ogni modo possibile per raggiungerla senza tuttavia mai riuscirci e neppure ci assale il sospetto che ci sia qualcosa oltre la felicità, qualcosa che viene prima e che ne è la necessaria e insostituibile condizione.
L’America è stata scoperta nel 1492, ma è stata ‘creata’ tre secoli dopo, il 4 luglio 1776, quando un scintilla di intelligenza inserì la felicità, il suo libero perseguimento, tra i diritti inalienabili dell’uomo nella storica Dichiarazione d’Indipendenza. Fu allora che la felicità, per la prima volta nella storia, da concetto visionario, aspirazione fantastica o vago desiderio, si trasformò in diritto naturale,inalienabile e inviolabile. “Noi consideriamo le seguenti Verità evidenti di per sé: che tutti gli uomini sono creati uguali, che essi sono stati dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili, che tra questi diritti ci sono la vita, la libertà e il perseguimento della felicità.”


Idealisti e giuristi, grandi filosofi, statisti illuminati e leader visionari, specialmente negli ultimi tre secoli, hanno creduto che le ragioni della generale infelicità dovessero ricercarsi in cause esterne all’uomo e che la felicità potrebbe essere assicurata a tutti attraverso il cambiamento delle leggi, il passaggio da regno a repubblica, da assolutismo a democrazia e a regimi politici più tolleranti in materia etica, politica, religiosa. E che una maggiore libertà delle istituzioni politiche e civili potrebbe garantire la felicità a milioni di persone. Niente potrebbe essere più utopico e irrealizzabile di quella vecchia idea o slogan che risale al XVIII secolo: “La maggiore felicità possibile per il maggior numero di persone possibile” e di ogni altra formula o alchimia politica tesa all’obiettivo della felicità pubblica.
In realtà la felicità è un sentimento intimo, personale, che affonda le sue radici in una condizione dell’essere che solo l’individuo può raggiungere e non può appartenere alla massa. Per cui felicità pubblica è un paradosso che nasce dall’unione di due termini contraddittori. Un bell’esempio di ossimoro.Noi siamo adoratori del tempo, sue creature, educati a credere che, prima o poi, si creeranno le condizioni che ci daranno la felicità. E’ quindi comune il sentire il pronunciare frasi come: “sarò felice quando… mi sposerò… quando cambierò lavoro… quando avrò abbastanza denaro…” E’ evidente che nessuno può essere felice ieri o tra un anno. Il ricordo o l’immaginazione della felicità non sono la felicità. Eppure il paradigma dominante mette al primo posto l’avere e all’ultimo l’essere. Per cui si dice: “se avessi denaro a sufficienza, farei il giro del mondo e sarei felice.”
In realtà le cose funzionano esattamente al rovescio. Prima raggiungi quello stato dell’essere che chiamiamo felicità, poi arriverà il denaro per fare il giro del mondo. Essere felici può essere solo intenzionale, può solo nascere da una decisione che un individuo prende consapevolmente in questo istante.
Sii immensamente felice senza motivo. Un uomo capace di fabbricare intenzionalmente anche un solo atomo di felicità, senza bisogno di un pretesto o una causa esterna, ha il potere di cambiare la realtà a suo volere ed è padrone assoluto del suo destino. Ognuno può osservare nella propria vita che qualsiasi cosa porti felicità dall’esterno, sia essa una notizia, un evento o una persona, è destinata a durare solo attimi. Poi ci sarà portata via. La si può paragonare a un saltello che per un istante ci fa librare nell’aria, ma non è un volo. Un vero volo è la sospensione sine die della legge di gravità. Solo la felicità che è stata forgiata dentro, intenzionalmente, può riportarci permanentemente in questo stato che è andato perduto e che pure è nostro diritto di nascita. Non c’è stata scuola, mentore o genitore che ci abbia informato di qualcosa che viene prima, qualcosa che va desiderata, ricercata, che richiede un lavoro strenuo, l’attraversamento di una porta stretta che è solo per pochi. Qualcosa che viene prima della felicità. Qualcosa da cui essa dipende. Una condizione sine qua non. Qualcosa più preziosa “ch’è sì cara come sa chi per lei vita rifiuta”:
la libertà. E invece che cercare la felicità, quanto più utile sarebbe piuttosto cercare la libertà da tutto quello che ostacola, da ciò che ci impedisce di essere felici, da quello che ci fa infelici.
Quando pensiamo alla libertà, il pensiero va alle lotte, ai martiri caduti perché venissero riconosciuti i diritti che la garantiscono nelle sue più concrete manifestazioni, come la libertà di parola, di opinione, di stampa, di associazione e anche di portare armi per la propria difesa. Ma esiste una libertà “da” che è vera, inalienabile e imperdibile. Come la libertà da limiti interiori, dalle prigioni del tempo, dalla superstiziosa fede in piani e programmi, dall’ansia e dalla paura. Il mito di Crono che divora i suoi figli è un monito millenario. Chi è figlio del tempo sarà divorato dal tempo. Non è possibile essere preda dell’ansia, sotto la tirannia di piani e programmi e essere felici. Pianificare è un sostituto del sogno, dell’intuizione e anche dell’intelligenza. La vita è imprevedibile e l’uomo assopisce la paura del futuro con la falsa sicurezza delle previsioni, attraverso rituali fatti di regole e formule. La libertà dal tempo è quindi una condizione fondamentale nella conquista della felicità.
Soprattutto siamo prigionieri dei ruoli. Crediamo di essere insegnanti, manager, padri, madri, fidanzate, studenti, imprenditori e siamo convinti che credere nei ruoli, identificarci con essi, eliminando ogni spazio tra la pelle e la maschera, sia l’unico modo di vivere. E così, invece di giocarli, di gioire nel recitarli, diventiamo i ruoli e li trasformiamo in trappole. Anche di questi dovremo liberarci lungo il sentiero stretto che conduce alla felicità. Osare di essere liberi. Guardarci dentro e avere il coraggio di buttare via la zavorra mortale di superstizioni,pregiudizi, idee di seconda mano, identificazione con i ruoli, la superstizione del tempo e soprattutto la paura, il più paralizzante di tutti i limiti. Solo allora sapremo che l’infelicità non esiste se non nella nostra immaginazione negativa. Quando, a seguito di questo titanico lavoro, avremo saputo liberarci da ogni forma di dipendenza, di divisione e conflitto interiore, riguadagnata la nostra integrità, scopriremo che la felicità è come quella fragranza di muschio che le renne inseguono e che le strema in una corsa mortale, vanamente cercandola fuori di sé. Per un destino infelice non sapranno mai che quell’essenza che le inebria è prodotta dalle loro stesse ghiandole.

                                                 Guarda il video del Dreamers Day



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