Quando gli artisti greci raggiunsero la
perfezione nel riprodurre il corpo umano, come nessuna civiltà aveva mai fatto
prima, e toccarono l’apice con la statua dell’efebo, il giovinetto di Kritios,
più vera del vero, si fermarono. La loro arte aveva smesso di sorprendere e
destare ammirazione quindi aveva perso il suo senso. Fu allora che nell’arco di
una generazione la trascesero non più imitando la realtà ma esagerandola.
Nacquero così opere immortali come i Bronzi di Riace, di una bellezza che la
vita non avrebbe potuto eguagliare. Trascendere è la funzione del Sogno.
Quando visitai per la prima volta il
museo di Reggio per ammirare i Bronzi, splendidi anche nell’inadeguatezza di
quella cornice, la mia attenzione fu attratta da un reperto apparentemente
modesto: la punta di una freccia preistorica finemente cesellata. La domanda su
come avesse potuto quel nostro remoto antenato realizzare una tale opera mi
affascinò, e il perché l’avesse fatto, quale fosse l’irragionevole ragione di quell’immenso,
inutile lavoro mi arrovellò per molto tempo dopo quella visita, intuendo l’ineffabile, insondabile mistero che
esso custodisce.
Una freccia è uno strumento di caccia e
forgiarne la punta è abilità ordinaria di ogni cacciatore; serve a procurargli
cibo per giorno. Ma quella punta cesellata dodicimila anni fa era in realtà una
macchina del tempo, un’astronave fatta per viaggiare alla velocità del sogno,
come la Cappella Sistina, come Versailles. La visione di un essere capace di
concepire nella semioscurità di una caverna l’impresa di attraversare i
millenni, di sconfiggere il tempo mi percorse l’essere come un brivido
dell’anima. Chi aveva creato quell’oggetto non stava cacciando per la giornata ma
eseguendo un rito propiziatorio che avrebbe attirato prosperità e cibo per
generazioni. Egli era l’archetipo di un essere senza tempo, un centauro metà
uomo, metà sogno. Non essendo a conoscenza
di reperto più antico, devo ritenere che quello sconosciuto progenitore sia
l’inventore del superfluo.
Ma il superfluo è un
bene di prima necessità. La nostra
civiltà, tutt’intera, è stata edificata sull’architrave dell’apparente inutile,
del futile. Quando il superfluo raggiunge vette di vertiginosa bellezza, come
negli oggetti scelti e illustrati nelle pagine che seguono, questi diventano
strumenti del Sogno.
Ci sono oggetti che il tempo seppellisce sotto la sua polvere in pochi
anni, o anche solo in giorni, e ci sono altri che hanno la magia di sconfiggere
il tempo, il dio Crono, crudele divoratore dei suoi figli.
Ancora oggi qualcuno produce frecce per
le necessità contingenti, e altri, pochi tra i pochi, apparentemente anch’essi
fanno frecce ma in realtà sognano e producono oggetti che quando appaiono,
tutte le volte che li usiamo o anche che soltanto li vediamo, lasciano una
traccia ancora calda. Seguendola si può risalire a quel mondo di aspirazione,
di intuizione, di armonia e bellezza che li ha concepiti e creati, all’Olimpo
degli oggetti sfuggiti alle leggi del tempo. E quando desideriamo fortemente di
possederli non è per la loro materialità ma per la magia che essi possiedono e
che la nostra mente conferisce solo ad alcuni oggetti, estremamente rari, che
abbiano trasgredito ogni limite umano, sbriciolato pregiudizi e tabù e con essi
la barriera della logica e del senso comune per entrare nel regno incantato dei
sogni e delle visioni cui solo l’infanzia ha accesso.
E arrivo a “Toys for Boys” (inserto della rivista Monsieur n.d.a.), al cuore di questo editoriale che introduce
il settimo numero di questa fortunata collana, religiosamente collezionata,
anno dopo anno, meravigliosa vetrina di oggetti apparentemente superflui e oltraggiosamente
costosi. Un vero schiaffo alla miseria, come direbbero a Napoli, specie in questi
tempi di austerity che stanno iscrivendo
a forza milioni di persone all’antica scuola cinica, istigatrice dell’estrema
frugalità, fondata da Diogene 2.500 anni fa, suppergiù. Per inciso, Diogene,
che ligio alla sua filosofia si era ridotto a vivere nelle strade di Atene, è
un buon esempio che la frugalità può allungarci la vita. Morì nella botte che
usava come abitazione all’età di 96 anni, nello stesso giorno di Alessandro il
Grande che dopo averlo incontrato aveva detto: “se non fossi Alessandro, vorrei
essere Diogene”.
L’ambizione di spiegare in un articolo, e fosse anche in un volume,
l’assoluta necessità del superfluo, a tutte le latitudini e in tutta la storia
dell’umanità, sarebbe eccessiva. Ma il tentativo di capirci qualcosa è
legittimo. Che cosa spinge un collezionista di orologi a pagare 100 mila euro
per una grand complication che svolge
un compito egregiamente assolto da un microchip da un euro? E che cosa ci tiene
immobili, ammirati davanti a una GranCabrio Sport della Maserati, all’ultimo
modello della classe S grand edition
della Mercedes o il Pershing 92 della Ferretti. E chi li compra? Riccastri che
hanno denaro da gettare via, spendaccioni vanitosi ed esibizionisti che prima o
poi si ridurranno sul lastrico o sognatori, ispiratori, propiziatori di
prosperità, strateghi del lusso, epigoni di Luigi XIV che volle Versailles, di
Giulio III che affidò la Cappella Sistina a Michelangelo, contro il parere di
tutti, e soprattutto del suo architetto Bramante, e più recentemente, dello Sheikh Mohammed bin Rashid Al Maktoum, il visionario di
Dubai.
Dietro ogni
conquista umana, all’origine di ogni intuizione, di ogni progresso scientifico
o sociale, dietro le grandi imprese del mondo, le iniziative di business più
audaci e di successo e alla fonte di tutto quello che di bello, utile e ricco è
stato realizzato e ancora vive, vi è invariabilmente un uomo, un individuo e il
suo Sogno.
Per questo la più famosa citazione della filosofia occidentale, “Cogito Ergo Sum”, penso, quindi esisto,
coniata dal pensatore che è considerato all’origine del pensiero moderno, René
Descartes:, dovrebbe essere cambiata in: “Somnio
Ergo Sum”, Sogno, quindi sono. Io Sogno = Io sono. Io sono il mio Sogno. E’
per questo che il sogno di un uomo è anche la sua misura. C’è chi può sognare
una casa in montagna e chi una villa esclusiva in Sardegna, ma non possono
sognare Versailles o la Cappella Sistina. questi sono il sogno di un re.
Chi ha acquistato all’asta di Christie’s un’opera di Picasso per cinquanta
milioni non ha comprato un quadro a olio ma la sua invisibilità, quel frammento
di eternità che ogni artista, ogni grande designer tenta di catturare e
imprigionare nella sua opera. E quelle auto, quello yacht non sono mezzi di locomozione ma
tentativi di entrare nell’Olimpo dei capolavori universali, navicelle spaziali
create per viaggiare in una dimensione senza tempo, dove entrare a contatto con i sensi superiori dell'uomo: la creatività, l'intuito e un settimo senso, il Sogno.
Questi oggetti hanno
un’anima e sanno con chi stare e chi abbandonare. Uno scettro è un oggetto per
un re. La regalità, l’ampiezza di visione, la responsabilità di un re viene
prima dello scettro. Il caso potrebbe portare quell’oggetto nelle mani di chi
non ha la regalità, ma per quanto tempo potrebbe trattenerlo? Come un perfetto
meccanismo omeostatico, l’esistenza prende un po’ di tempo ma poi
inesorabilmente riporta gli oggetti con un’anima nelle mani di chi ne riconosce
la magia e sa gestirne il potere. Si potrebbe dire che come noi li sogniamo
anche gli oggetti con un’anima sognano a chi appartenere e a essi arrivano.
Un giorno Chuang-Tzu, il
saggio, si addormentò e sognò di essere una farfalla. Svegliandosi si chiese: Chi
sono? Sono Chuang-Tzu che ha sognato di essere una farfalla o una farfalla che ora sta sognando di essere Chuang-Tzu?
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