Liberi significa liberi interiormente da
paure, ansietà, emozioni negative, liberi da pregiudizi, preconcetti, idee di
seconda mano, capaci di rivoluzionare una descrizione ristretta del mondo,
migliorandosi ed innalzando la qualità del pensare e del sentire.
Thinking
is destiny. Il benessere di un uomo, il suo destino
finanziario, la qualità della sua vita sono un riflesso della qualità del suo
pensiero, delle sue convinzioni.
Il più piccolo miglioramento anche di un solo
uomo crea lo spazio perché altri possano cambiare, per trasformare la propria
condizione di dipendenza in un progetto di superamento dei propri limiti, per
il miglioramento di se stesso e degli altri. In questo modo la nostra civiltà,
come una starship lanciata nello spazio, continua la grande avventura e viaggia
verso il suo vero fine: l’evoluzione dell’uomo.
“Il lavoro si
sublimerà fino un giorno a sparire dalle attività umane…”
Un giorno, quando avremo bilanciato la nostra
psicologia, capiremo che il lavoro è stato per l’umanità una forma di
autopunizione, l’effetto di una vulnerabilità. Il lavoro di un uomo, il grado
di faticosità, di penosità, di maggiore o minore povertà, la qualità del suo
ruolo, misura esattamente la sua divisione interna, è direttamente
proporzionale alla distanza che quell’uomo ha da se stesso. Il lavoro è il
riflesso di una psicologia differita dal “qui ed ora”, da un tempo verticale; la dipendenza è
l’immagine speculare di una mente preoccupata, impaurita, che ancora vive nel
senso di colpa, nel dubbio, nell’insicurezza, nel dolore. Il lavoro dipendente
è il riflesso di una coscienza di vittimismo... La dipendenza è paura… è assenza di amore….
Tra i pezzi in esibizione alla mostra “Atroci
Strumenti di Tortura”, in corso recentemente a Milano, andrebbe inserita la
scrivania, simbolo e strumento di una condizione di schiavitù che non è mai
stata abolita, ma che ha solo cambiato pelle.
Il grado di paura, la distanza che un uomo ha
da se stesso, o ignoranza di sé, il suo grado di differimento dal “qui ed ora”,
determina la qualità del suo ruolo lavorativo e decide il girone infernale cui
deve appartenere. Più questo differimento si riduce, più il lavoro si sublima,
fino a diventare “sogno”. Il Lavoro è la negazione, la degradazione del
“sogno”. Il lavoro è il “sogno” visto di spalle. Il lavoro è la maschera che
noi indossiamo per nascondere il nostro senso di annientamento, il nostro senso
di insignificanza… per nascondere la nostra caduta dal paradiso…
In tutte le culture ed in tutti i tempi, il
lavoro è stato connotato da fatica ed è sinonimo di costrizione, sforzo,
dolore… L’Ecclesiaste indica il lavoro tra le sette malattie che intaccano l’essere.
La domanda d’avvio di questo libro dell’A.T. è lapidaria: “Quale valore ha
tutta la fatica che affatica l’uomo sotto il sole?”. Nella tradizione
giudaico-cristiana, in particolare, lavorare è tuttora il riflesso di una
maledizione biblica… è il prodotto di
una condanna… è alienazione, è travaglio… Le condanne bibliche al
dolore, per l’uomo attraverso la fatica del lavoro, per la donna attraverso il
travaglio del parto, si fondono nella parola francese travail, nel termine
anglosassone labour. Così lo spagnolo. Così il dialetto siciliano, quello
napoletano. In esse è per sempre sigillato questo significato di tribolazione.
Lo stesso termine ebraico “amal”, significa
letteralmente “faticare”.
Amal/Amar. Anche se “Amal” e “Amare” hanno
radici linguistiche lontane, formano un polarismo avvincente, cioè una coppia
di estremi destinati a rappresentare due concezioni del mondo: Amal è il lavoro
come sforzo, Amar (A-mors) è il lavoro come sogno, come assenza di sforzo.
L’economia è fatta da uomini che
amano. Un uomo
contempla il cielo.. si sta nutrendo di qualcosa di eterno… Questa è economia.
La nostra università crede che “amare quello che fai e fare solo ciò che ami”
sia diritto di nascita di ogni uomo… crede che chi ama, che chi sogna, non
lavora e che chi lavora non può sognare. Love what you do, do only what you
love.
Bisogna trasformare il lavoro in “sogno”! Chi
sogna ama, chi lavora non può amare… L’assenza di amore, la sofferenza,
producono lavoro-fatica…
Chi ama quello che fa, chi sogna, anche se
apparentemente sta lavorando per un’organizzazione, in realtà sta lavorando per
sé, si sta integrando. Chi fa un lavoro senza amarlo sta lavorando per qualcun
altro, si sta danneggiando. Quella che viene chiamata retribuzione è in verità
un risarcimento danni per la degradazione fisica, emozionale e mentale prodotta
da quella condizione di dipendenza.
Il clochard, in barbone, è l’uomo che vive in
un limbo, emarginato in una zona dell’essere in cui non può né amare, né
lavorare. Non può né appartenere al tempo né all’assenza di tempo. E’ un uomo
che ha abbandonato il mondo del lavoro senza però riuscire ad entrare in quello
del “sogno”. Sognare è l’azione di un uomo di responsabilità.. Soltanto i
grandi guerrieri, i grandi condottieri, possedevano l’arte del sognare, la
capacità di essere effortlessly dreamful.
La gente lavora con fatica ed anche gli
uomini più ordinari fanno sforzi immani per tutta la vita. Altri cercano il
blessing di pochi attimi di integrità, di non-lavoro; e per questo attraversano
oceani, scalano le montagne più ardue… perché non conoscono “the effortlessness
of dreaming”. Non sanno che sognare è il fare. Bisogna trasformare il lavoro in sogno.
La positività e la felicità nel futuro
dell'uomo si accompagneranno inevitabilmente ad una progressiva, inarrestabile,
riduzione della sua attività di lavoro e ad un declino del lavoro-fatica.
Un'umanità più libera interiormente dalla
paura, dal dubbio, da pensieri distruttivi e dalla miriade di emozioni negative
che da sempre ne agitano l'animo, non potrà più accettare i ritmi, gli ambienti
e la qualità del lavoro di una civiltà che ancora concepisce il lavoro come
fatica ed iperattività, che per funzionare ha bisogno, e quindi educa, eserciti
di alienati, legioni di fakiri capaci di sopportare, senza neppure più
avvertirla, la indicibile dolorosità del dipendere. Le Scuole sono la
propaggine fisica di questa psicologia. Nelle
scuole di ogni ordine e grado, in tutto il pianeta, i giovani sono esposti ad
un unico messaggio educativo globale: l’insegnamento a dipendere. Fin da
bambini ore ed ore in un banco per imparare a vivere da prigionieri, senza
alcuna aspirazione alla libertà. Un training indispensabile per poter un giorno
fare gli impiegati a vita, aggrappati alla ricchezza di altri, ed appartenere
di diritto al club degli angosciati aziendali.
Paura e
sofferenze sono ringhiere. Guai a
perderle! E’ più difficile eliminare la
più piccola paura dalla propria vita che scalare una montagna.
Occorrono
scuole di libertà, di conoscenza di sé… Scuole di
integrità. La prima caratteristica di una
scuola del futuro è quella di eliminare piuttosto che aggiungere. Eliminare
vecchie strutture, stratificazioni di ignoranza, di concetti arruginiti, di
idee obsolete; abbandonare preconcetti, falsi sentimenti, paure immaginarie ed
ogni identificazione con il superficiale, con il mondo delle apparenze.
Occorre
una scuola che “ricordi”, una scuola con una memoria verticale che indichi la
direzione per il “viaggio di ritorno”. Una Scuola del capovolgimento per
l’eliminazione della vecchia educazione, per una rieducazione dell’uomo nel
nome dell’essere.
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