lunedì 22 settembre 2014

"Il passato è polvere." di Stefano D'anna

Sin dall’infanzia ci portiamo dietro un timore reverenziale per la storia, per i tempi andati e per il passato in generale. In tutte le scuole del mondo, quasi per effetto di una cospirazione planetaria, i curricula scolastici impongono una materia obbligatoria il cui scopo è quello di mantenere viva la memoria di tutte le guerre, rivoluzioni, massacri e ogni sorta di malvagità perpetrata da uomini nei confronti di altri uomini, fazioni contro altre fazioni, nazioni contro altre nazioni. I conflitti, altro non sono che l’effetto della mente conflittuale dell’uomo, nonché del suo istinto predatorio che la Storia contrabbanda come sete di libertà, giustizia, pace, eguaglianza e, troppo spesso, giustifica nel nome di Dio. 
So che la maggior parte delle persone, nel tentativo di salvare alcuni brandelli della vecchia visione, obietterebbero che senza queste memorie non potremmo evitare di commettere di nuovo gli stessi errori del passato. E allora, se veramente impariamo dalla storia, cosa pensare della seconda guerra mondiale che segue a ruota la prima ripresentando gli stessi orrori in meno di una generazione. In realtà, la storia dell’uomo altro non è che il racconto di una visione criminale, la materiale proieazione della sua parte più vile. Far studiare e obbligare i giovani a memorizzare questa serie infinita di crimini, come difatti tutte le scuole del mondo insistono nel fare, serve solo ad inquinare le nostre menti – e in particolare quelle dei più giovani.  

Un falso futuro Esiste un impulso viscerale nell’uomo che vuole far sopravvivere e perpetuare il passato, al punto che si potrebbe quasi dire che l’umanità non ha davanti a sé un vero futuro, ma solo un passato che si ripete, che ci mettiamo illusoriamente davanti sotto la falsa parvenza di futuro. Non sono l’esperienza e il ricordo di errori passati che possono trasformare l’umanità o cambiare il suo destino. Possiamo anzi affermare che l’umanità non ha mai imparato nulla dal ripasso di quest’interminabile susseguirsi di disastri. Questa incapacità di imparare dalla storia spiega perché, attraverso i millenni, la nostra civiltà è stata costantemente contraddistinta da un destino così terribile, e il perché non esistono sogni. Non c’è un solo film o romanzo che tracci un quadro ottimistico del futuro della nostra specie, ma solo distopie, visioni apocalittiche e profezie di sventura. I temi esplorati da Aldous Huxley in Il Mondo Nuovo, da Orwell in 1984, da Ayn Rand in Inno, o in film quali Blade Runner, sono profezie di una società totalitaria e di soppressione dell’ individualismo. Le nostre predizioni sono proiezioni delle nostre paure, dei nostri incubi di tirannie psicologiche in grado di contare ogni nostro respiro, e di un mondo governato dal potere oppressivo dei grandi apparati di produzione e di monopoli planetari. Guardando agli eventi storici da una prospettiva più alta, ci si rende conto che le guerre e le rivoluzioni, le crociate e le persecuzioni, l’ascesa e la caduta degli imperi non sono altro che la proiezione materiale della nostra immaginazione negativa e delle profezie più tetre che si avverano per il fatto stesso che sono state annunciate. E’ ora di riconoscerle per quello che sono: immondizia sfuggita a una scopa cosmica. Noi possiamo cambiare il nostro destino. Possiamo persino rivisitare il nostro passato e cambiare la nostra storia. Tuttavia le masse non possono farlo. Solo l’individuo è in grado di farlo, attraverso la propria trasformazione. Il nostro amore e la nostra attrazione morbosa per tempi ormai passati e sepolti ci porta ad insegnare ai nostri figli a inscatolare fenomeni come letteratura, arte e musica ed etichettarli in correnti artificiose di pensiero e epoche, con una indiscussa e supina devozione alla storia come rappresentazione del nostro passato criminale.   
Ritorno ai Vecchi Racconti e alle Fiabe Rimuginando questi pensieri, mi sono reso conto dell’assurdità del fatto di raccontare ai nostri figli una storia fatta di orrori, governata dal caso e dalla criminalità. Dobbiamo cancellare il nostro delittuoso passato o, per lo meno, vergognarcene assicurandoci di tenerlo ben nascosto ai nostri figli; e con esso, la memoria di tutti i criminali e i “piccoli grandi uomini” che la vecchia umanità ha trasformato in esseri leggendari e tramandato come benefattori ed eroi. Le guerre, i conflitti, e ogni sorta di malvagità di cui la nostra storia è così ricca, sono stati accettati come eventi naturali e inevitabili, e nessuno si è mai ribellato all’idea di tramandarli ai nostri figli. Questo è il risultato di un sistema di credenze e di aspettative che è diventato universale. Sarebbe decisamente meglio raccontare loro che il passato è polvere e insegnare loro che basta un soffio per vederlo svanire nel nulla. Dovremmo ricominciare a raccontare loro i miti, le leggende e le vecchie favole che appartengono all’arte dei misteri. L’arte di rivelare e al contempo nascondere. 
Nei miei studi, alla ricerca di una spiegazione della condizione disperata in cui da sempre versa l’umanità, ho scoperto che c’è molta più verità nelle favole e nelle parabole che non nella storia. In particolare, ho scoperto le idee più illuminanti e di maggior ispirazione in alcune leggende e storie per bambini come quelle che riporto di seguito.   
L’Educazione di Buddha 
Esiste una leggenda circa l’educazione del giovane Buddha che rimane ancora oggi una delle storie più istruttive che siano mai state tramandate. Potrebbe addirittura ispirare il nostro sistema scolastico, a partire dalle elementari. C’era una volta un Re che decise di proteggere suo figlio da qualsiasi messaggio di degradazione, dal concetto di limite e perfino da qualsiasi racconto, scena o notizia di crimini o orrori, fossero essi relativi a periodi storici o relativi al tempo corrente in cui vivevano. Si assicurò personalmente che il giovane principe fosse costantemente circondato da gioia, bellezza e benessere. A questo fine, cambiava regolarmente i membri della corte e sceglieva con attenzione i servi che accudivano suo figlio. Essi avevano l’ordine di filtrare ogni notizia del mondo e di non permettere che neppure un atomo di negatività raggiungesse il principe. Lo stesso padre, il Re, si truccava e si tingeva i capelli e la barba per rimandare a un tempo quanto più lontano possibile che i concetti di malattia, invecchiamento e morte entrassero a far parte della visione del giovane principe. Suo padre aveva capito l’importanza di trasmettere al figlio una descrizione quanto più alta possibile del mondo ed era consapevole degli effetti che le credenze hanno sul corpo e sulla mente di un giovane. Il giovane principe di questa storia diventerà poi il Buddha e la leggenda della sua educazione resterà per sempre fonte d’ispirazione per aver concepito una educazione all’immortalità, una scuola per giovani addestrati a concepire la propria vita senza limiti e senza fine. Il Re, suo padre, per il fatto di aver sognato per il figlio un mondo in cui malattia e invecchiamento fossero banditi, un mondo libero da ogni conflitto e malvagità, e per aver fatto ogni sforzo per proteggerlo da una descrizione spregevole e mortale dell’esistenza, dovrebbe essere celebrato come uno dei padri dell’umanità e tra i pionieri più coraggiosi dell’intera storia dell’educazione umana. Non è per caso che la tradizione lo ha voluto Re, uomo reale/regale. Nell’Olimpo dei grandi eroi, il suo mito merita un posto a fianco di Prometeo.
La Bella Addormentata 
C’è una fiaba che tutti conosciamo col nome di ‘La Bella addormentata nel bosco’, ma il cui titolo originale era ‘La belle au bois dormant’: la bella nel bosco addormentato. Questa differenza nel titolo può sembrare un insignificante, ma come in tutte le grandi fiabe che sono state tramandate per generazioni, questo dettaglio nasconde un tesoro di conoscenze segrete. Il bosco addormentato è il simbolo del mondo come ci è stato descritto – afflitto da povertà e conflitti e sigillato in un sonno ipnotico. La Bella rappresenta la volontà. Se la volontà è intorpidita, o peggio sepolta, come possiamo osservare in gran parte della specie umana che non ha individualità né originalità, entriamo a far parte del bosco addormentato – della massa. Nell’uomo ordinario la volontà non è assente ma soffocata sotto strati e strati di zavorra mentale ed emozionale. Egli è trasportato verso una destinazione sconosciuta, e nei suoi occhi possiamo leggere l’oblio e una riluttanza a fare qualsiasi sforzo per uscire da tale condizione o per ricercare la propria unicità. Dalla scuola, dai genitori, dai maestri di sventura, l’uomo ha ricevuto un’uniforme psicologica, nonché una descrizione dettagliata del mondo, che lo rende uguale a tutti gli altri. Nessuno lo ha messo in guardia dal fatto che uniformity is mediocrity. La Storia della Bella Addormentata è la dichiarazione di un risveglio del sé. E’ l’annuncio di una generazione di giovani capaci di sovvertire i vecchi paradigmi e di entrare in una nuova visione della realtà. La morale della favola è che l’unico aiuto che un uomo può dare agli altri, l’essenza stessa della leadership, è di svegliarsi da quel sonno e non perdersi nel bosco addormentato.   
Il Piccolo Principe 
Gli uomini comuni, così come li conosciamo, sono simili ai solitari abitanti degli asteroidi visitati dal Piccolo Principe. Ognuno di essi è solo, chiuso nel proprio mondo, prigioniero del proprio ruolo. L’uomo moderno è sigillato in una bolla di vanità ed egocentrismo, è ipnotizzato senza via d’uscita dal concetto del lavoro come attività faticosa e soprattutto dolorosa. Fa ciò che non ama, in tempi, luoghi e con persone che non ha scelto. Nel famoso romanzo di Saint-Exupery, viene rappresentato, tra le altre cose, un ritratto vivido e crudelmente satirico dell’avidità e della cupidigia umana nel condurre gli affari.  Quando il Piccolo Principe lascia il suo minuscolo pianeta per esplorare l’universo, uno degli asteroidi che visita è abitato da un uomo di affari – uno dei personaggi più emblematici mai creati per descrivere l’assurdità e la ridicolaggine della condizione umana. Quando il Piccolo Principe lo incontra, l’uomo d’affari è incessantemente impegnato a contare le stelle che pensa di possedere. A quale scopo, per farne cosa? La risposta è: per venderle, ricavarne un profitto e quindi poter comprare altre stelle. Il principe tenta di spiegargli perché non può possedere le stelle: Un uomo può possedere solo ciò di cui è responsabile, ciò che ama e di cui si prende cura. Per questo motivo, l’uomo di affari non poteva possedere le stelle.   
Pinocchio 
Sebbene la letteratura universale, da Aristofane a Beckett, sia ricca di grandi romanzieri, probabilmente non ce n’è mai stato uno intelligente, ironico o defilato come Carlo Lorenzini – meglio conosciuto con il suo nome d’arte Collodi. Il suo libro “Pinocchio” è il libro più letto, dopo il Corano e la Bibbia. Alla base di questo prodigioso successo vi è la scoperta di una verità terribile e crudele: gli uomini sono burattini, fantocci biochimici, e l’umanità è fatta da milioni di marionette mosse da fili invisibili. Consapevole di quanto gli uomini possano diventare violenti nei confronti di qualcuno che riveli ad essi verità spiacevoli, ha prudentemente nascosto questa scoperta indicibile, questo segreto terribile sotto le apparenze di una storia per bambini, che in realtà è il testo mistico più audace di tutta la letteratura mondiale – travestito da favola. Dietro ai toni ironici e semplici e al didatticismo, la storia di questo famosissimo burattino è in realtà la parabola oscura e spietata del viaggio iniziatico dell’uomo da marionetta, mossa da fili invisibili, a uomo reale dotato di volontà propria. Pinocchio è la caricatura ferocemente ironica di un’umanità non veritiera, mossa in modo tirannico e fatidico dalle emozioni negative e dall’infelicità di un destino ineluttabile.


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