Una gag del muto
Il ponte di una nave in una gag
di Charlot. Un passeggero, un omaccione imponente e baffuto, ha un piede
vistosamente fasciato. Fa fatica a camminare. Il viso è una maschera di dolore.
Soffre. Arriva Charlot, il naso in aria; fischietta e avanza dondolando mentre
ruota nell’aria il suo inseparabile bastone. In noi spettatori la trappola dell’umorismo
è già scattata. Sadicamente, pregustiamo quello che sta per accadere. Charlot
gli passerà sul piede. Poi ci ripasserà sopra con altri pestoni, tutti
involontari ma che faranno ballare l’omaccione su un piede solo con ululi di
dolore. Chi ha la responsabilità di quella sofferenza?
Un animale sta attraversando la
foresta. Dietro sta lasciandosi una traccia odorosa di morte. Perde sangue da
una ferita. Il predatore appare e lo aggredisce. Potrebbe la preda dire: che
giornata sfortunata? come mai mi accade questo? perché proprio a me?
I mondiali di calcio
sono stati per
noi un laboratorio unico per lo studio
del vittimismo. Una squadra con i più grandi fuoriclasse del mondo, e con
essa un intero paese, l’Italia, è sembrata più impegnata a trovare il pretesto
per giustificare una sconfitta temuta che a cercare in sé la forza per vincere.
Il caso della nazionale italiana, come dimostrerà questo articolo, è
sintomatico della nostra incapacità di scoprire la sconfitta prima ancora che
l’ingiustizia di arbitri e guardalinee la materializzi. E’ quella che gli
anglosassoni chiamano una “self-fulfilling profecy”. Una profezia che si avvera
per il fatto stesso di essere stata annunciata. Siamo più impegnati a cercare
le giustificazioni alla sconfitta che già sentiamo dentro, e che già è in
marcia verso di noi, piuttosto che riconoscerla ed eliminarla.
L’oracolo
di Delfi
Un uomo si
sveglia e avverte un senso di angoscia, sente paura, ha ansietà. E’ questo
l’oracolo di Delfi, la voce della Pizia. Se fossimo capaci di ascoltarla, di
ascoltarci, sapremmo che quel canto di dolore sta annunciando gli eventi che
sono già in marcia sul tapis roulant del tempo-spazio. Avremmo il tempo per
porvi rimedio, per prevenirli, scongiurarli. Ma l’educazione che abbiamo ricevuto
da maestri di sventura e profeti del disastro, non ci ha insegnato a guardarci
dentro, a scoprire la sconfitta prima che si manifesti. La sconfitta, come il
successo, procede dall’interno all’esterno. Ma noi non lo sappiamo. Così
anneghiamo con un caffè le nostre paure ed entriamo nel mondo con le ferite
aperte. Né più né meno di quell’animale che perde liquido vitale e lascia
dietro di sé la traccia che gli farà incontrare il predatore.
L’esistenza è una nostra invenzione.
Nessun
evento può accadere esternamente ad un uomo senza il suo consenso, sia pure
inconsapevole. Nulla può occorrergli senza prima attraversare la sua
psicologia.
Il
pensare è quindi potentissimo.
Quelli
che poi chiamiamo fatti, gli eventi, le esperienze e tutti i possibili
accadimenti della vita sono stati d’essere già in marcia per andare incontro a
chi si è messo in sintonia. Gli stati sono eventi in attesa dell’occasione
propizia per verificarsi. La qualità delle nostre emozioni, l’ampiezza dei
nostri pensieri, gli stati d’animo che viviamo in questo stesso istante, stanno
decidendo cosa si manifesterà nel visibile, la natura degli eventi che si
materializzeranno nella nostra vita.
L’esistenza è
una nostra invenzione. Come tale dipende interamente da noi.
Uno stato permanente di sconfitta
A
tutte le latitudini ed in tutti i tempi l’uomo sembra aver ricevuto questa
stessa, identica, descrizione di se stesso e del mondo. A questo stato
permanente di sconfitta, che è radicato in tutte le società umane ed è esteso a
tutte le culture, abbiamo dato il nome di Victim
Consciousness.
Solo apparentemente un uomo si
augura bene, prosperità, salute. Se potesse osservarsi e conoscersi
interiormente ascolterebbe invece dentro di sé la recita pressoché continua di
un canto di negatività, come di una preghiera di sventura fatta di
preoccupazioni, di immagini malate, dell’attesa di eventi terribili, probabili
ed improbabili....
I due binari della
vita
L'essere è
fatto di stati e la vita di eventi. La nostra esistenza quindi corre parallelamente
su due binari: quello degli eventi che sono la successione di avvenimenti della
nostra vita così come ci vengono incontro sul tapis roulant del tempo-spazio, e quello degli stati che sono i
moti dell'animo, i moods, gli stati d'essere che si succedono dentro di noi, in
modo quasi
sempre inavvertito. La storia personale di un uomo è quindi
orizzontalmente fatta di eventi e verticalmente fatta di stati. Tuttavia la
gente pensa alla propria vita e la racconta come se fosse costituita soltanto
di eventi esterni.
Il pensiero è creativo
Che
sia positivo o negativo, il pensiero dell’uomo è sempre creativo e trova
puntualmente l’occasione per materializzarsi. I nostri pensieri, come inviti
scritti di nostra mano, spediti e poi dimenticati, attraggono gli eventi
corrispondenti. Al tempo dovuto, quando neanche più ci pensiamo, circostanze,
incontri, accadimenti, problemi ed incidenti, cadute e fallimenti, si
presentano al nostro uscio, ospiti indesiderati eppure a lungo, oscuramente,
evocati. Solo la disattenzione ai nostri
stati, che sono la vera origine di quegli eventi, ce li fa apparire improvvisi,
inaspettati.
Stati
ed eventi sono perciò la stessa cosa. Gli stati si producono nell’essere di
ogni uomo, gli eventi si manifestano nella sua vita, nel tempo, e sembrano
prodursi indipendentemente dalla sua volontà. In realtà siamo noi che li
abbiamo intensamente invocati, inconsapevolmente creati.
Più veloci dell’occhio
E’ convinzione
comune che siano gli eventi esterni a condizionare le nostre attitudini e a determinare
i nostri stati d'animo. Un fatto si verifica, facciamo un incontro o riceviamo
una notizia, e noi crediamo che lo stato psicologico che avvertiamo, di
irritazione, di ansia o di sorpresa, di gioia o di infelicità, sia un effetto,
una conseguenza di quell’avvenimento, di quell’incontro, di quella notizia.
Allo stesso modo che, fino all'invenzione della fotografia, è stato impossibile
determinare l’esatta successione degli zoccoli nel galoppo del cavallo, essendo
i suoi movimenti più veloci dell'occhio, così pensieri, emozioni, percezioni,
sensazioni, come lampi elettronici, attraversano le misteriose foreste dei
nostri neuroni a velocità vicine a quella della luce e sembra impossibile
stabilire la corretta successione temporale in connessione agli accadimenti
esterni.
Gli stati creano gli eventi
Un evento si
verifica e noi crediamo che lo stato psicologico che avvertiamo sia l'effetto
di quell'avvenimento. Giustifichiamo cioé il nostro stato d'essere con l'evento
esterno mentre è accaduto esattamente il contrario. In realtà sono gli stati
d'essere che annunciano e determinano gli eventi della nostra vita. Le nostre
emozioni negative, nel tempo, si trasformano nelle avversità di cui poi ci
lamentiamo. Per incontrare un evento di una certa natura, nel bene o nel male,
devo prima creare internamente le condizioni del suo accadere.
Vincere prima di combattere
I guerrieri e
gli eroi dell’antichità sapevano bene che prima c’è la ferita poi arriva la
freccia; è anzi quella ferita, non identificata, ancora aperta, che attirerà la
freccia. La veglia del guerriero era fondata su questa consapevolezza ed
includeva tutti i rituali per la scoperta e poi l’eliminazione di ogni ferita,
di ogni morte interna.
Chi non ha la
morte dentro non può incontrarla fuori. L’invincibilità, l’invulnerabilità
insegnate dalle grandi Scuole dell’antichità, presupponevano la vittoria su se
stesso, l’eliminazione di ogni ferita, di ogni morte interna, prima di
affrontare la battaglia.
E’ la stessa
impeccabilità che è richiesta a un moderno leader. Occorrono Scuole per eroi,
School for Gods. Scuole che insegnano a vincere prima di combattere.
Un uomo che
crede in se stesso, che cerca la propria impeccabilità sa che l’ignoto e
l’invisibile sono al suo servizio.
Eroe (da eros
= amore = a- mors = assenza di morte) significa immortale. E’ un grado della
scala umana che non si conquista in battaglia, vincendo i nemici, ma in
solitudine, vincendo se stesso. La battaglia serve solo a rendere visibile
quello che l’eroe ha già conquistato nell’invisibile. E’ semplicemente la prova
del nove, la cartina di tornasole di qualcosa che è già accaduto nell’essere.
La vittima è sempre colpevole
“Solo
apparentemente un uomo si confronta con ostacoli esterni, con nemici ed
avversità fuori di sé. In realtà l’antagonista è sempre la materializzazione di
un’ombra, di una parte oscura di noi, che non conosciamo, che non vogliamo
conoscere. Quando si manifesta, sotto forma di attacco, avversità o problema,
restiamo sorpresi. In realtà l’abbiamo a lungo, inconsapevolmente covato dentro
di noi. Per la nostra disattenzione, un piccolissimo sintomo ha avuto tutto il
tempo di acutizzarsi e per la nostra incapacità di individuarlo ed intervenire,
è diventato una minaccia concreta. Per questo un’umanità del futuro: più
sincera, più consapevole, più attenta, nelle aule dei suoi tribunali sostituirà
all’aforisma ormai logoro:”La legge è uguale per tutti” il nuovo motto, scritto
a lettere cubitali:”La vittima è sempre colpevole”.
Non c’è nulla di
più giusto dell’ingiustizia
Il
vittimismo è l’espressione di quella grande illusione dell'uomo che esista
l’ingiustizia, l’epitome della sua attitudine a sentirsi oggetto di continue
sopraffazioni, della sua propensione ad accusare, a puntare la freccia sempre
contro gli altri e il mondo pretendendo di modificarli. Vorremmo che il mondo
cambiasse per restare come siamo. In realtà noi possiamo cambiare solo noi
stessi, intervenire sulle nostre attitudini, modificare le nostre reazioni, i
nostri pensieri distruttivi, le emozioni negative che proviamo. Questo ‘lavoro’
sugli stati, nel corso del tempo, modifica il carattere e la natura stessa
degli eventi della nostra vita.
L'universo è perfetto così com'é. L’unico che deve
cambiare sei tu!
L’ingiustizia
non esiste! Ma per l’umanità così com’è, è ancora troppo presto per accettare
l’idea che nella vita di ogni uomo non c’è mai stato nulla di più giusto, di
più provvidenziale, di quello che egli ha considerato ingiusto.
I contratti col mugugno
Ai
tempi della Repubblica di Genova i contratti di ingaggio per far parte
dell’equipaggio di una nave, erano di due tipi: col mugugno e senza mugugno. I
contratti col mugugno davano la possibilità di lamentarsi, una volta a bordo e
durante la navigazione, ma prevedevano una paga più bassa. I contratti senza
mugugno, non consentivano di lamentarsi, per nessuna ragione, ma erano a paga
più alta. I marinai sceglievano quasi sempre il contratto con il mugugno.
Lamentarsi, scusarsi, compiangersi, accusare sono da sempre le stimmate
psicologiche dell’umanità.
Un meccanismo planetario
C’è
un comportamento che riguarda la massa, un meccanismo psicologico di estensione
planetaria che è sotto i nostri occhi eppure sfugge ad ogni spiegazione. Gli
uomini hanno difficoltà ad abbandonare il loro vittimismo. A questo possesso
fatto di accusa, autocommiserazione, lamentela, gli uomini sono attaccati più
che ai loro beni più preziosi. Sono queste le ricchezze da abbandonare cui si
riferisce il Vangelo. “…vendi quello che possiedi e dallo ai poveri e avrai un
tesoro nel cielo. Poi vieni e seguimi…”.
I
ricchi condannati a restare al di qua della cruna dell’ago, fuori dalle porte
del Regno, non sono i Paperon de’ Paperoni che navigano nell’oro dei loro
forzieri, ma gli uomini appesantiti dalla zavorra delle emozioni negative, dai
loro attaccamenti, dai sensi di colpa; curvi sotto il peso della paura, sia di
vivere che di morire.
Il Bunker
L’interpretazione
a rovescio di questo messaggio nei secoli ha alimentato in milioni di uomini il
vittimismo e la propensione alla scarsità. Pensiamo alla funesta attitudine
della Chiesa che commiserando, giustificando, e talvolta esaltando la povertà,
l’ha perpetuata e ne ha fatto il suo vessillo, rendendo più difficile lo
sradicamento del vittimismo dalla coscienza dell’uomo, e quindi dalle sue
società.
La
visione di un mondo minaccioso, avverso, feroce, che lo contiene e può
stritolarlo, che può ucciderlo ad ogni momento, delimita presto nella vita di
un uomo comune i limiti delle sue possibilità; uno spazio ipnotico, irreale,
fatto di paura e dolore, entro i cui confini egli si sente sicuro come tra le
pareti massicce di un bunker, metà rifugio, metà prigione.
“L'abbandono della paura è il
primo passo verso l’integrità, verso l’unità dell’essere. Sulla paura non si
costruisce niente né si può aggiungere intelligenza. L’assenza di paura è la
prima legge del guerriero”.
Il ragno e la preda
Un
uomo, nell’oscurità dell’incoscienza, prepara le sue sciagure, tende a se
stesso trappole, rinsalda le proprie prigioni, confeziona ogni suo dolore,
disastro, incidente, malattia, con tanta abilità e minuziosa attenzione ad ogni
particolare, da poter considerare la sua una vera arte. Un’arte buia,
inconsapevole, come quella di un mostruoso insetto che trama negli abissi della
zoologia. Lì dove l’uomo è tragicamente ragno e preda.
La preda e il predatore, apparentemente
opposti, sono in realtà un solo animale. Essi sono legati da una simbiosi
terribile e indissolubile. L’opposto è un frammento, una parte che si è divisa,
che si è allontanata dalla totalità... L’apparente antagonista è la moneta
d’argento che la donna ha perduto.. è quella pecorella che il pastore ha
smarrito… Chi non riesce a ritrovare la sua integrità, chi non riesce a
reintegrare quella particella, la incontrerà fuori di sé, mostruosamente
ingigantita, come predatore”.
La vittima è il carnefice visto di spalle
La vittima è
tale perché prima ancora di essere vittima è potenzialmente, boia, giustiziere,
persecutore, criminale. Prima dobbiamo sabotarci dentro, mentire a noi stessi,
ucciderci dentro e poi possiamo essere sabotati, venire uccisi. E’ possibile
osservare con frequenza nella nostra storia un capovolgimento dei ruoli, per
cui quelle che erano le vittime diventano i persecutori e i sopraffattori.
L’abbiamo visto nel cristianesimo attraverso i secoli, nel Kossovo nel giro di
pochi mesi. Lo vediamo ogni giorno in Palestina.
Tra
‘sentirsi vittima’ e ‘diventare vittima’ intercorre solo il fattore tempo.
Mentre l’attitudine, il modo di pensare, il linguaggio che chiamiamo vittimismo
si forma e cresce, dall’altra sta crescendo e si sta formando il carnefice, il
giustiziere, il boia.
Il
crimine che vediamo fuori è l’immagine riflessa nello specchio del mondo che
nel suo linguaggio simbolico, fatto di circostanze ed eventi, ci rivela quello
che non vogliamo vedere in noi.
Potremo
guarire il mondo solo quando riconosceremo in noi stessi quella criminalità
nascosta che accusiamo fuori di noi.
Prossimi eventi della School for Dreamers:
http://lnx.schoolfordreamers.com/calendario-eventi/
Lezioni di Economia dal Vangelo
il nuovo libro si Stefano D'Anna a questo link:
http://lnx.schoolfordreamers.com/lezioni-di-economia-dal-vangelo/
Gran bell'articolo, complimenti e....grazie!
RispondiEliminaGrazie a te!
RispondiEliminaArticolo incredibile! Amo quest'uomo!
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