mercoledì 18 marzo 2015

L’IMPROVVISO HA SEMPRE BISOGNO DI UNA LUNGA PREPARAZIONE (o l’Arte di conoscere il futuro) di Stefano D'Anna

Le civiltà di ogni tempo si sono interrogate sulla libertà dell uomo di dirigere la propria vita, di determinare il suo destino. Gli eventi ci vengono incontro sul ‘tapis roulant’ del tempo e noi tutti ci chiediamo quanto possiamo considerarci responsabili, gli artefici veri del loro accadimento. Un incidente, il sopravvenire di una malattia, un crac finanziario, quanto dipendono da noi? Il nostro destino è già scritto o godiamo di libero arbitrio? L'uomo, come Giasone, è ancora faccia a faccia con la Sfinge. Il più antico dei delemmi ancora echeggia irrisolto e non trova risposta, oggi come migliaia di anni fa.
Un gruppo di ricercatori di Torino ha annunciato i risultati di uno studio condotto su 50 incidenti gravi. E’ risultato che nel 90% dei casi quegli incidenti apparentemente imprevedibili, erano stati preannunciati da un trauma psicologico. E’ come dire che per incorrere in un incidente fisico dobbiamo passare attraverso un ‘incidente psichico’.
La relazione che lega stati d’essere ed eventi, il misterioso rapporto che esiste tra la psicologia di un uomo e ciò che gli accade è l’elemento decisivo nella questione del libero arbitrio e la chiave dell’enigma della sua esistenza.
Gli antichi greci non avevano dubbi: esiste tra stati ed eventi una relazione di causa ed effetto. Quella civiltà arcaica credette intensamente che il destino di un uomo fosse una proiezione del suo mondo interiore, del suo essere. Su questa convinzione fondarono una scienza ed un’arte che assunse tra essi il massimo valore: la divinazione.


Nell’età pre-omerica sapiente non è chi è ricco d’esperienza o chi eccelle in conoscenza ma chi manifesta l’ignoto, chi conosce il futuro. Gettare luce nell’oscurità, precisare l’incerto è per i greci la vera sapienza ed insieme un’arte. Altri popoli esaltarono la divinazione, ma nessun altro popolo la innalzò a simbolo decisivo, a elemento centrale della sua vita. In tutto il territorio ellenico fiorirono i santuari dedicati al culto di Apollo al quale, più che a Dioniso, è da attribuirsi il dominio sulla sapienza, intesa come conoscenza del destino degli uomini e manifestazione, comunicazione di tale conoscenza. Apollo che parla attraverso la sacerdotessa simboleggia quest’occhio penetrante; il suo culto, per tutta l’antichità ed anche al di fuori della Grecia, è una celebrazione della sapienza.

Conosci te stesso

A Delfi questa vocazione dei Greci e l’arte di conoscere il futuro trova la sua massima espressione. Per questo il dio di Delfi è l’immagine unificante di quella civiltà ed un’abbreviazione della Grecia stessa. Il pellegrino che spesso attraversava grandi distanze e affrontava gravi pericoli per interrogare il Dio sul suo futuro, leggeva inciso sul timpano del tempio il motto delfico “Conosci te stesso”. Era come dire: “Vuoi sapere il tuo futuro? Conosci te stesso!”. In questo paradosso, apparente beffardo, i Greci deposero la soluzione del più antico enigma dell’uomo, il segreto dei segreti, la risposta alla millenaria domanda sull’esistenza o meno di un libero arbitrio. Una domanda che ha fatto vibrare d’inquietudine tutte le filosofie del mondo sospese tra il presagio fatalistico di un futuro predeterminato ed ineluttabile e il credo nell’homo faber, artefice del suo destino. Scolpendo il motto delfico proprio sul tempio deputato alla più sacra delle arti, alla più grande tra le scienze: la divinazione, i Greci indicarono la relazione segreta tra mondo interiore e mondo esteriore, tra stati ed eventi. E questa scoperta l’affidarono come un messaggio in una bottiglia all’oceano del tempo per farla arrivare fino a noi. L’uomo che conosce se stesso, il proprio essere, contenitore dei propri pensieri, idee, attitudini, conosce anche il proprio futuro, perché ciò che pensiamo è connesso al mondo; la nostra psicologia è il nostro destino. Thinking is Destiny. Apollo è il simbolo del mondo-specchio dell’interiorità dell’uomo. Il mondo ci riflette.

La tradizione classica che tramanda il mito di Omero come il vate cieco, è ancora un messaggio di quell’età dei saggi che si concluse con la morte di Socrate, l’ultimo di essi. La cecità attribuita all’autore dell’Iliade e dell’Odissea, le due grandi bibbie dell’antichità, è emblematica dell’attenzione che i Greci seppero dare al mondo psicologico, alla conoscenza di sé, dei propri stati. Guardare dentro se stessi è la chiave di conoscenza del mondo, la strada per capirne e prevederne gli accadimenti.


La legge del pagamento

Dagli studi condotti in questi anni dall’Istituto di Sociologia e di Psicologia Creativa è emerso un fenomeno singolare, difficile da spiegare. All’incidente, all’evento malaugurato, ad una sciagura toccata ad un uomo si associavano sempre segnali, sintomi  inequivocabili di guarigione. Chi ha incontrato un amico scampato ad un grave pericolo, un conoscente uscito da un incidente in cui ha rischiato la vita o guarito da una malattia grave, non avrà mancato di notare come quell’amico, quel conoscente, ne sia uscito migliorato, rinnovato. E ognuno avrà potuto notare come da una caduta o da una difficoltà ne siamo usciti con più energia, vitalità, ottimismo, voglia di fare. Due racconti potranno permetterci di penetrare più a fondo in questo meccanismo. Uno è tratto dalla trama di un film, l’altro dalla cronaca di una tragedia vera.


The Game

Nel film ‘The Game’, Michael Douglas è un miliardario stanco della sua esistenza, che non trova più interesse negli affari né nella vita. E’ in crisi. Per il giorno del suo compleanno il fratello, Sean Penn, per farlo uscire da quella condizione, gli commissiona (ma questa scoperta verrà fatta dallo spettatore solo negli ultimissimi minuti di questo straordinario thriller) ‘the game’, una serie di disavventure in confezione regalo che conducono il protagonista a credere di aver perso tutto, denaro e famiglia, e fino a tentare il suicidio, lanciandosi da un grattacielo.  Solo allora, ‘the game’ si rivela uno stratagemma che lo guarisce, una terribile cura che soltanto qualcuno che ci ama poteva augurarci e imporci.   


 

Napoli 1980

Il terremoto del 1980 resterà per sempre negli annali della città. Palazzi in fiamme, cinquemila morti. Una vera apocalisse. Napoli restò per giorni attonita ad osservare le sue ferite. Poi si riscosse. Da quel disastro una nuova dignità prende corpo e cresce, una compostezza che nasce da una disperazione contenuta, da un dolore vero. Non ci fu un furto, non ci fu un solo atto di sciacallaggio. Allora Napoli conobbe il silenzio. Da allora il suono incessante dei clackson che l’aveva infestata da sempre smise. Non temo di essere smentito se dico che da quella sciagura Napoli  rinacque a nuova vita: si ripulì, fece funzionare i suoi musei, si riempì di turisti, chiuse il centro storico al traffico, con Via Toledo che cominciò a prendere le sembianze di una fifth avenue in sedicesimo, splendida di luci, ricca di negozi di lusso. 


Volontà o Accidentalità
Da queste e da molte altre osservazioni scaturì l’ipotesi scientifica su cui stiamo ancora lavorando e che si sta dimostrando vera: tutto lo spazio che nell’uomo non è occupato dalla volontà deve essere occupato dall’accidentalità. L’accidentalità è sempre un pagamento, l’indicazione di una guarigione, ma involontaria.

Il pagamento volontario, anticipato, è la scelta di un’umanità guarita. Il    pagamento posticipato, involontario, è la scelta di un’umanità decaduta che paga attraverso l’accidentalità, la casualità… nel tempo.
L’uomo così com’è non ha una volontà, ha soltanto l’accidentalità. La sua razionalità può portarlo soltanto ad un destino già disegnato, già designato, da cui non può deragliare…

***

“…Andai col pensiero ai fioretti, ai voti dei penitenti, ai martìri offerti a santuari e chiese, all’autoflagellazione, ai cilici. Ripensai ai riti tribali, alle civiltà antiche, ed ai sacrifici di bestie e di uomini offerti per millenni a divinità, visibili ed invisibili. Riconobbi, sotto le diverse manifestazioni, il pagamento di un’umanità che non conosce altro modo di perdonarsi. Ricordai le processioni che avevo visto da bambino, i portatori che grondavano sudore e sangue sotto il peso di una statua, di madonna o santo. Li osservavo con i miei occhi di bambino mentre, prima di affrontare un nuovo tratto, si aggiustavano il panno sulla spalla per assorbire meglio il peso insopportabile delle stanghe. Li guardavo mentre attraversavano vicoli e rioni, facendosi spazio tra due ali di folla cenciosa che si segnava e si inginocchiava. Rivedo i loro visi paonazzi per lo sforzo e il volto dei santi, gli occhi rivolti al cielo e le dondolanti aureole di ottone inchiodate alla nuca. Giuseppona, mi sovrastava, proteggendomi dalla ressa sotto il suo corpo saldo come una roccia. “Si stanno guadagnando il paradiso” – mi disse una volta. Ricordo la promessa che feci a me stesso di non andare mai in un posto abitato da quei ceffi. Senza saperlo stavo osservando un’allegoria vivente dell’unico modo di pagare che ha un’umanità schiacciata dal peso delle sue convinzioni superstiziose, povera, che ha solo il denaro della sofferenza, che sa pagare solo col dolore e l’accidentalità”.

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Nel momento in cui la volontà non funziona, l’accidentalità prende il sopravvento. Chi realizza questo cerca una Scuola per poter ritornare al potere dell’attenzione, per fare tutto il cammino a ritroso per disseppellire la volontà sepolta. Una Scuola che ‘ricordi’ che abbia un sistema per eliminare scorie ed inquinamenti, che sa la strada per ritornare alla fonte, per riacquisire la padronanza di se stessi… la volontà… il ‘sogno’!
Solo pochi realizzano la necessità di una ‘scuola’ speciale, solo pochi tra i pochi hanno le qualità per poterla incontrare.

L’uomo ha barattato la volontà con l’accidentalità. Chi realizza questo cerca una Scuola per poter riconquistare la volontà, l’integrità perduta. Dall’insegnamento dell’arco ai riti iniziatici, dall’insegnamento della musica alla fisica dei quanta, dietro ogni insegnamento si nasconde quell’unica vera Scuola che indica il ritorno all’integrità. C’è bisogno di una Scuola che ‘ricordi’, che conosca la strada per ritornare alla fonte, per riacquisire la padronanza di se stessi… la volontà… il ‘sogno’! Questo è l’esodo.

Quando un uomo è colpito da un disgrazia, da un incidente o un fallimento, come gli ebrei trascinati in schiavitù a Babilonia, si chiede come prima domanda: come mai? Le lamentazioni di Geremia iniziano con la parola ‘ekah’ che significa, come mai?
Ma l’improvviso ha sempre bisogno di una lunga preparazione. Solo il nostro sonno ipnotico, la nostra distrazione cronica, ci impediscono di vedere i mille segnali premonitori che hanno a lungo preannunciato quegli eventi; soprattutto  ci impediscono di vedere le volte che remiamo contro noi stessi, le attività di autosabotaggio che continuamente si producono dentro di noi.
Così come siamo, senza volontà nè attenzione, facciamo ancora parte di quella fascia di uomini che pagano solo se costretti… attraverso l’accidentalità.
Gli stati emozionali di un uomo sono in verità eventi in cerca di un’occasione per verificarsi e diventare visibili.
Il tempo distanzia gli stati dagli eventi e ne cela l’identità. Il tempo soffia il suo nero-seppia e dietro questa cortina gli eventi si nascondono e covano prendendoci poi di sorpresa, quando abbiamo dimenticato, o mai ci siamo accorti, di averli prodotti. Ma nulla accade improvvisamente.
L’improvviso ha sempre bisogno di una lunga preparazione.
Non c’è nulla che un uomo possa incontrare, non c’è un evento che possa materializzarsi e raggiungerlo senza che prima, consapevolmente o inconsapevolmente, abbia attraversato il suo essere, la sua psicologia. Il mondo è connesso alle nostre emozioni, alle nostre passioni, ai nostri pensieri. Essi sono la cinghia di trasmissione tra mondo interno e mondo esterno. Attraverso la gestione delle emozioni, dei pensieri e di tutto quello che proviamo e sentiamo in un certo momento, cioé attraverso la padronanza dei nostri stati, abbiamo in mano il timone della nostra esistenza e possiamo imprimere una direzione al nostro destino. Ecco dove trova fondamento la concezione romana della fortuna e dell'homo faber contrapposta alla visione greca, medio-orientale, che rappresenta la Fortuna come una dea bendata che dispensa gli eventi in modo puramente casuale ed invia gli eventi secondo il proprio capriccio.
Il lavoro che dobbiamo fare è ‘vedere’ che dietro gli eventi e poi dietro gli stati, ci siamo sempre noi. Prima di qualunque soluzione viene il nostro cambiamento. 



                                                    




                                                         

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