martedì 22 dicembre 2015

"Il visibile nasce nell'invisibile" di Stefano D'Anna

Visibilia ex invisibilibus. Tutto ciò che appare concreto e solido sotto i colpi del nostro bastone da ciechi che cerca di tastare le pareti del visibile, non è che la proiezione di un mondo invisibile ai nostri sensi, verticale ad esso e che ne costituisce la causa. Ora, se due fenomeni sono legati da un vincolo di causalità, e l'uno è l'effetto dell'altro, dobbiamo accettare il fatto che la causa vive a un livello del reale più alto di quello dell'effetto.
Il sogno e la realtà sono la stessa cosa separata dal tempo. Per questo il sogno è la realtà.. Le idee straordinarie, le intuizioni audaci che hanno fatto progredire il nostro pianeta, e così le future soluzioni ai problemi vitali della specie, capaci di renderci più felici e più prosperi, non potrebbero esistere senza un individuo con la responsabilità per captarle e crederci, con la forza per sostenerne la potenza e per realizzarle, anche a rischio della propria vita. Siamo perciò di fronte ad una scoperta semplice e rivoluzionaria: la causa, la fonte di ogni progresso civile, scientifico, economico, è sempre e soltanto l'individuo e tutto origina dall'impalpabilità del suo "sogno".
Il fenomeno è così costante e la sua osservazione così rigorosa e scientificamente esatta da poterlo inquadrare tra i fenomeni naturali, governato da leggi ineluttabili, incontrovertibili come quelle della gravità, dell'attrito e dell'entropia.


Il "sogno" è un tuffo nel miracoloso. Noi siamo arrivati fin qui perché ci sono stati grandi tuffatori prima di noi, sognatori, utopisti pragmatici, pazzi luminosi, uomini visionari, che hanno lasciato il mondo ansante alle loro spalle per l'incapacità di stargli dietro. Se la nostra civiltà non avesse questi uomini speciali, capaci di tuffarsi nell'invisibile, di credere nel miracoloso, di concepire l'impossibile, di sognare l'irrealizzabile, con la certezza assoluta che diventerà realtà, che il tempo gli darà ragione, noi saremmo ancora agli albori della coscienza. Solo l'individuo è creativo e solo ad individui dobbiamo il nostro progresso materiale e morale ed il patrimonio di arte, di valori e di idee grandi e nobili di cui ancora si nutre la nostra civiltà.
La ragione è che non esistono sogni di massa. La massa può avere visioni negative del futuro, distopie o incubi, ma mai sogni. Soltanto l'individuo può sognare. Dal taglio del canale di Suez alla scissione dell'atomo, dalla scoperta dell'America ai voli spaziali, dietro ogni sogno dell'umanità diventato realtà c'è sempre un uomo e uno solo.

L'individuo e la folla

Agli individui dobbiamo dunque tutto quello che siamo e che abbiamo; eppure li abbiamo perseguitati, quasi senza eccezioni. Là dove nasce un individuo immediatamente si mette in moto una forza antagonista, una massa pronta ad eliminarlo. E questo giuoco mortale a guardie e ladri tra individuo e massa, iniziato nella notte dei tempi, ancora continua ed è il nodo gordiano della visione politica. L'eccidio degli innocenti è sollevabile a paradigma scientifico universale.
La massa è antagonista dell'individuo. Lo è sempre stata, senza eccezioni, ed ha disprezzato i suoi saggi sotto ogni latitudine ed in ogni tempo. L'individuo è vivo, la massa è antibiotica. E la lotta tra individuo e massa, la persecuzione dell'individualità, è una costante della nostra storia. Abbiamo bisogno dell'individuo, e allo stesso tempo, come specie, abbiamo un insopprimibile istinto di sopprimerlo.
Questo è il paradosso della nostra civiltà, il meno esplorato, il più oscuro, perché ha le sue radici nella parte più profonda del nostro essere, là dove ancora eccheggia l'ululato di un predatore notturno, l'eco di una nostalgia animale. Quando nasce un individuo è come se in mezzo a un'orda di leoni intenti a dilaniare e spartirsi la preda, uno di essi si rizzasse sulla zampe posteriori, si apparecchiasse la tavola e usasse le posate. Verrebbe sbranato all'istante.
L'individuo ci spaventa, la vastità delle sue idee, la sua fiducia incrollabile in se stesso, l'ampiezza della sua visione, la sua compattezza interiore, la sua luminosità, ci mettono in una condizione di dolorosità insopportabile e di fronte a un sinallagma vertiginoso. Nel Contratto Sociale di Rousseaux è riportato che, secondo Filone, così ragionasse l'imperatore Caligola: o i popoli erano bestie, e quindi i re erano uomini, o i popoli erano fatti di uomini e allora i re erano dèi.
Soltanto incontrare un individuo, o ascoltarne la voce, o vederlo agire, ci mette di fronte alla nostra pigrizia, alla nostra bruttezza, alla nostra insopportabile deformità.
Lo sforzo richiesto per cambiare è troppo grande. Preferiamo eliminare il termine di confronto. Un colpo di martello al grillo parlante, la soppressione di questa voce che instancabilmente ci spinge ad essere di più, a diventare migliori, appare ogni volta la soluzione più semplice. Nell'isola di Efeso, quasi tremila anni fa, si fece un esperimento sociale ed uno dei primi tentativi registrati storicamente di eliminare l'individuo una volta e per tutte. Secondo Eraclito "gli abitanti di Efeso hanno scacciato Ermodoro, il migliore di loro, dicendo: non vogliamo avere nessuno che sia migliore tra noi; se c'è qualcuno che lo è, se ne vada altrove, tra gli altri".
Per questa cecità della massa Eraclito disprezza la folla. Non era chiaro allora, neppure ad uomini come Eraclito, e tantomeno lo è oggi, a uomini come noi, che la storia è dialettica e che l'agonismo tra individuo e massa, come tutti gli antagonismi, è creativo ed insopprimibile. La soppressione dell'antagonista, qualora riuscisse, si riverberebbe in una crisi tanto più ardua quanto più è imponderabile il vuoto che si spalanca davanti al vincitore. Ad una visione verticale, massa e individuo si mostrano come una sola realtà, due pistoni dello stesso motore. L'una non potrebbe esistere senza l'altro, così come non è immaginabile un bastone che abbia una sola estremità. Essi sono aspetti inseparabili di un'unica realtà.



L'unità dell'essere

L'imperatore della tradizione cinese classica nei momenti di difficoltà per l'impero si ritirava nella parte più segreta del tempio per incontrare le porte del tutto. Immobile, con il viso rivolto verso sud, provvedeva con le su virtù superumane a che tutto l'impero restasse in accordo con il Decreto del cielo. Egli, mentre il nemico si avvicinava, sapeva che la battaglia andava prima vinta interiormente, che doveva superare i limiti dentro di sé.   Quando aveva vinto i suoi limiti e sentiva la vittoria dentro, solo allora sarebbe arrivato un alleato o l'esercito avversario si sarebbe disfatto da solo, per malattie, per lotte interne o per qualche altro motivo.
Individuo deriva da indivisibile, indica un uomo che ha raggiunto una compattezza interiore, un grado elevato di affidabilità, di incorruttibilità, di amore; che è riuscito a far convergere verso una sola direzione tutto quello che sente, che fa, che dice, che pensa. L'uomo di massa, che potremmo a questo punto chiamare "dividuo", è invece una legione, diviso tra mille 'io' in lotta perenne tra loro, lacerato da pensieri ed emozioni contrastanti, diviso da se stesso e dagli altri, senza lealtà, senza idee, senza amore.
La vera immagine dell’uomo ordinario non è quella patetica di Charlie Chaplin in “Tempi moderni”, vittima negli ingranaggi di una civiltà industriale, o almeno non lo è più da tempo; l’immagine dell’uomo è forse più quella di Woody Allen che di fronte a una donna desiderabile e bellissima che entra nel suo appartamento diventa uno spastico: i suoi pensieri, i suoi desideri e le sue parole viaggiano in direzioni completamente diverse. Quest’uomo frammentato, incapace di puntare in una sola direzione e di mettere insieme il pensare, il desiderare e il sentire, è certamente l'immagine crudelmente più emblematica della condizione dell’uomo ordinario. Potremmo dire, se dovessimo risalire all’origine di tutti i mali che uscirono dal vaso di Pandora, che la causa delle cause di tutti i problemi che affliggono l’umanità è questa mancanza di unità dell’uomo.


Nella tradizione giudaico-cristiana il peccato originale  è la divisione da Dio, la prima e più insanabile delle divisioni. L'individuo che ha raggiunto l'unità dell'essere sembra essere senza questo peccato originale. E questo gli dà la capacità di amare. Questa capacità appare come il più chiaro spartiacque tra gli uomini e il confine più netto tra queste due porzioni di umanità: gli individui e la massa. Se proviamo a rovesciare i termini di quella straordinaria equazione interiore: "ama il prossimo tuo come te stesso", essa mostra una inarrivabile conoscenza dell'animo umano. Amare se stesso è la misura ed allo stesso tempo il limite della capacità di amare gli altri. Questa è ancora oggi la visione più alta e la formula più potente per l'armonizzazione dell'eterno antagonismo tra individuo e massa.
L'individuo riesce ad amare la massa attraverso la comprensione che il prossimo suo è se stesso; che l'altro, l'opposto, non deve essere combattuto. Più lo combattiamo e più ci dividiamo. E questo spazio crea dolore, sofferenza, ignoranza. L'altro deve essere assorbito, integrato. L'assorbimento elimina la divisione e porta soluzione, dentro e fuori. Noi dobbiamo molto ai sognatori della storia, agli utopisti, ai filantropi, a tutti quei pazzi luminosi che si sono lasciati il mondo alle spalle senza fiato per l'incapacità di stargli dietro e che hanno fatto avanzare la nostra civiltà. Essi sono i precursori dell'uomo verticale, le cellule di questa nuova umanità che si sta formando e che, liberandosi dal pensiero conflittuale, ha la possibilità di trovare soluzione a problemi che la vecchia umanità si trascina da sempre. Ci sembra impossibile perfino immaginare una società senza lotta, il dibattito, le controversie ed il conflitto. E' una società capace di sognare. Per questo occorre una diversa psicologia, un pensiero verticale che non vede più il mondo attraverso gli opposti, con una logica binaria, ma attraverso i livelli e i gradi di una scala qualitativa.
Per cui se condotta da un uomo verticale la politica è gioco. Se condotta da un uomo orizzontale la politica è arroganza, vanità, prevaricazione, odio e morte.
La politica intesa come divisione e conflitto è finita. E' morta. Essa non ha soluzioni a meno che salti di grado, di livello, di piano..La politica come noi la conosciamo è un'espressione statica dell'esistenza; ma resa dinamica, verticale, essa diventa l'arte del sognare. 









                                                 IL PICCOLO DREAMER PROGRAMMATORE DI MONDI di VEGA ROZE



                                                                         NEL RINASCISENSO di MARIO DAL MARE


                                                            L'EONARDO- IL TRASFORMISTA di MICHELE LOMBARDI

Nessun commento:

Posta un commento