Sospinta da forze epocali, sotto i nostri
occhi sta emergendo una nuova età, l’Età
dell'Ozio Creativo. Dopo secoli
stiamo lasciandoci alle spalle quella visione del mondo, un pò tetra e
autoflagellante, che la rivoluzione borghese inflisse alla nostra civiltà
abbracciando gli ideali della Riforma e dell'etica calvinista, ed il cui
atteggiamento fondamentale può sintetizzarsi in una negazione dell'ozio
(nec-otium).
Sospinte dai venti della rivoluzione
microelettronica, i robot e le macchine intelligenti hanno spopolato le
fabbriche. Il computer sta rivoluzionato il lavoro d'ufficio e un flusso
ininterrotto di innovazioni grandi e piccole sta travolgendo irreversibilmente
professionalità e stili di vita, sostituendo gli impiegati nei ruoli più
ripetitivi.
La nostra civiltà, come una starship lanciata
nell'oceano del tempo, viaggia verso una società del non fare, dell'essere,
dove prevale la capacità delle idee ed il pensiero creativo sul movimento, la
contemplazione sull'azione.
Il lavoro dipendente si va riducendo.
Le possibilità,
specialmente per i giovani, di trovare un lavoro dipendente si sono ridotte al
lumicino e la nostra civiltà assiste con apprensione crescente all'aumento
della disoccupazione come ad un fenomeno esteso a tutto il mondo occidentale.
La perdita dei posti di lavoro nelle
democrazie industriali e nelle economie avanzate si misura ormai in milioni
ogni anno. I mass media, gli studiosi e gli osservatori più attenti delle
società occidentali concordano tutti sul fatto che la crescita esponenziale
della disoccupazione, ed il suo dilagare endemico ed inarrestabile, è in
assoluto il fenomeno più temuto del nostro tempo.
E' un fenomeno ormai strutturale e,
secondo noi, un sintomo certo del tramonto della lunga età impiegatizia ed allo
stesso tempo l'inizio di una stagione di maggiore libertà dell'uomo.
La moderna maledizione dell'umanità
non è più quella biblica "lavorerai con il sudore della tua fronte",
ma una condanna al non lavoro. La nostra età sarà la prima nella storia
dell'uomo che segna un progressivo, ineluttabile, affrancamento dal lavoro per
enormi masse di uomini che si troveranno davanti a una voragine di tempo
libero.
Nell'età della joblessness quello che era
privilegio di una classe aristocratica, raffinatamente educata per generazioni
all'ozio aureo, diventa una condizione di esistenza per masse di uomini che non
sono stati preparati alla responsabilità del tempo libero, ad amare la cultura,
l'arte, la musica, a sostituire l'azione con la contemplazione, il movimento
con la creatività.
La prospettiva di un'età di "non
lavoro" fa paura perché rappresenta per l'uomo un altro passo lontano dal
suo paradiso ancestrale, quando viveva una inconsapevole, tirannica unità con
la natura, per andare verso un futuro ignoto e misteriosamente palpitante,
della perdita della sua eredità zoologica, di perdita della sua rassicurante
appartenenza al regno animale.
Per cui il problema della disoccupazione
appare tale se visto dal basso, ma è, all'opposto, un annuncio di libertà, di
riscatto dalla maledizione del lavoro, come fatica, come sforzo, se visto
dall'alto.
Assenza di lavoro, quindi, e non perdita di
lavoro.
Il lavorare non è umano, è l’eredità di
un’età bestiale.
Stiamo rapidamente avviandoci verso una
civiltà del non fare, dell'essere, dove il vero, il bello, il bene e la ricerca
della felicità sono i pilastri di una società economicamente evoluta. In molti
modi è un ritorno alle radici stesse della nostra civiltà". L’umanità
dovrà imparare a vivere senza sforzo… che è assenza di tempo… che è immobilità
creativa. Dovrà sovvertire le proprie convinzioni più radicate e credere che il
non fare crea il fare. Be effortlessly
dreamful!
Per chi è impreparato alla libertà, a
sostituire l'azione con la contemplazione, il movimento con la creatività,
l'avvento dell’età della Joblessness, dell’età dell'ozio aureo, è una
prospettiva spaventosa.
Il lavoro dipendente continuerà a ridursi in
misura direttamente proporzionale alla maggiore capacità degli uomini di vivere
una vita più libera e felice.
Il fenomeno della disoccupazione, al quale gli economisti
tradizionali guardano con allarme, in questa più ampia visione non può più
considerarsi un segnale spaventevole ma al contrario l'annuncio del tramonto
della lunga età impiegatizia e l'inizio di una stagione di maggiore libertà.
Di certo lavoreremo sempre di meno, mentre migliorarsi e divertirsi
diventerà il grande business planetario.
La positività e la
felicità nel futuro dell'uomo si accompagnano quindi a una progressiva,
inarrestabile, riduzione della sua attività di lavoro.
Un'umanità più libera
interiormente dalla paura, dal dubbio e dalla miriade di emozioni negative che
da sempre ne agitano l'animo, è inevitabilmente avversa ai ritmi, agli ambienti
ed alla qualità del lavoro della società industriale che ha razionalizzato
l'attivismo esagitato e presuppone, e quindi crea ed educa, eserciti di
dipendenti alienati e di "manager" iperattivi.
Non
possiamo continuare a chiamare lavoro l'essere occupato, ma l'essere libero.
Dobbiamo chiamarlo Otium.
Il lavoro-fatica è la
degradazione dell'Otium. Il nec-otium, è la negazione del sogno, è il baratto
della propria libertà contro una paga ed un pacchetto preconfezionato di
certezze illusorie. La dipendenza è paura. Un uomo che ama, un uomo che sogna,
un uomo che non ha paura, che non è più vittima di emozioni negative, non può
essere impiegato. L’assenza di paura ci libera da ogni ruolo e da ogni
subalternità. Non c'è modo di impiegare un Leader!
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