giovedì 23 giugno 2016

"Soltanto i sognatori possono realizzare concretamente l’impossibile" di Stefano D'Anna

Stanno nascendo questi eserciti di uomini che sono in effetti degli indipendenti, dei liberi professionisti o degli imprenditori di se stessi, che poi a loro volta sono capaci di attirare altri uomini e di formare delle vere e proprie imprese, piccole, medie o grandi, capaci di vivere del proprio intuito, delle proprie capacità di creare, ideare e portare avanti dei progetti. Diventeranno sempre di più.
Vediamo un momento questo rovesciamento della visione del mondo; c’è qualcosa in particolare che ci fa capire che l’uomo ha fatto il passaggio? Noi abbiamo indicato un mondo piatto, e poi abbiamo detto che c’è un mondo apparentemente invisibile che è verticale; abbiamo visto che lungo questa verticale esistono dei valori permanenti, la cui proiezione su questo mondo piatto dà origine a tutto quello che noi vediamo, sentiamo e tocchiamo. Anche l’economia è soltanto una proiezione di questo mondo. Quando un uomo si muove in quella direzione anche solo di un millimetro, si proietta poi nel mondo ordinario in modo gigantesco. Tutte le idee arrivano da lì, tutte le soluzioni, tutte le filosofie, ecc. Questo rovesciamento psicologico lo abbiamo chiamato “metanoia”; il passaggio è un completo capovolgimento della visione del mondo. Qual’è uno degli elementi fondamentali del rovesciamento di visione?


Noi abbiamo detto che la mancanza di unità è la malattia fondamentale dell’uomo. Nell’evoluzione, immaginando quest’uomo nuovo, anzi, addirittura toccandolo con mano, scoprendo che alcuni di questi uomini stanno emergendo e sono in numero sempre più grande, e per la promessa che ci siamo fatti di diventare uno di questi uomini e donne, allora dobbiamo capire quali sono le caratteristiche fondamentali di questi personaggi. Il mondo che cambia, quell’inversione di marcia può essere prodotta solo da un individuo che fa un’inversione di psicologia. E questa operazione di metanoia fu anticipata duemila anni fa da quel paradosso ancora straordinario che è “ama il tuo nemico”. Allora San Pietro si fa crocifiggere a testa in giù per lanciare con l’ultimo momento della tua vita più di un messaggio, tra cui “ricordatevi che il mondo va rovesciato”. Nel momento in cui ho fatto veramente il passaggio, io rovescio la visione del mondo, capisco che il mondo è veramente messo in posizione opposta a come appare su Flatland. “Ama il tuo nemico” è proprio il rovesciamento della visione: avviene quando io comincio a vedere che l’avversario, l’antagonista, il cosiddetto nemico non è tale, ma è il mio migliore alleato, perché senza l’antagonista prima di tutto non potrei misurare l’ampiezza del mio sogno, e secondo non potrei realizzarlo, perché l’antagonista non solo mi misura, ma mi permette, perché senza l’antagonista noi non possiamo andare oltre.
Veniamo al paradigma che vi indicavo l’altra volta: impossibile - possibile - inevitabile. I remarkable men hanno la capacità di immaginare l’impossibile; qualunque fosse il loro sogno, era sempre giudicato impossibile, e lo sarà sempre. Sappiate che se state andando nella giusta direzione, vi diranno immediatamente che siete impazziti: quello è il primo buon segnale che siete sulla strada giusta. Il secondo ottimo segnale è che comincia ad arrivare l’antagonista: l’antagonista arriva soltanto quando dall’impossibile la cosa è già diventata possibile. Finché rimane nella fascia dell’impossibile non c’è ancora un antagonista, che fa capolino solo quando la cosa deve realizzarsi. Quindi l’antagonista ci misura, ci dice quanto è ampio il nostro sogno, ci dà il segnale che siamo entrati nella fase di realizzazione, e ci sta dando i mezzi per realizzarlo.
L’avversario più è crudele, più è cattivo, più è grosso, più significa che il nostro sogno è grande e grandi saranno i mezzi che ci saranno messi a disposizione per realizzarlo. Ma la gran parte dell’umanità intanto non arriva neanche alla fase dell’antagonista perché abbandona il sogno prima, prima ancora che sia sfidato ha già cambiato idea, quindi manca quell’impeccabilità di cui parlavamo; ma anche se ci fosse, quando arriva il momento dell’antagonista c’è il momento di paura. Perché c’è l’incomprensione, non è stato fatto questo rovesciamento che vede nell’avversità la prosperità, che vede nell’antagonista il proprio alleato.
Soltanto i sognatori possono realizzare concretamente l’impossibile. Il mondo è il riflesso della nostra psicologia, quindi un mondo inquinato, un mondo conflittuale, un mondo piagato da guerre, rivoluzioni e mali di ogni genere non è altro che il cadere dell’uomo in una condizione psicologica fallimentare. Il cambiamento di psicologia non può avvenire nella massa, la massa non può cambiare: può cambiare soltanto l’individuo. Ecco la vera, grande, prossima rivoluzione: la rivoluzione individuale. Soltanto l’individuo può modificarsi: è nostro il compito, non possiamo affidarlo a nessuno. E quando l’individuo fa quel passaggio, accadono cose nel mondo orizzontale che neanche migliaia di uomini insieme possono riuscire a produrre. Tutto quello che è accaduto nel mondo di buono, di sano, di utile, di bello, è stato fatto da individui. Da un individuo.
Una delle idee più rivoluzionarie, sicuro segnale del passaggio, è “ama il tuo nemico”.


Il comandamento dell’impeccabilità è non deviare dal bersaglio. Un uomo è impeccabile quando non devia dalla sua direzione. Questa caratteristica è riscontrabile in tutti gli uomini che stanno realizzando il proprio sogno. Perché tutto quello che un uomo ha costruito può ridursi in polvere per una deviazione, anche piccola. E soprattutto, più grande è il sogno, più grande è la velocità a cui sta andando un uomo, più grandi le risorse che gli vengono affidate per realizzare quel sogno, più deve essere impeccabile. Alla fine potremmo dire che tutto si risolve nel mantenere la direzione, perché il sogno poi fa tutto il resto.
Quindi noi non dobbiamo preoccuparci dei mezzi; la maggior parte delle persone trema soltanto al pensiero di un sogno straordinario perché immediatamente pensa “ma come si fa per realizzarlo, è impossibile, occorrerebbe questo, occorrerebbe quell’altro”, e parte subito dalla coda del discorso. Sappiate subito che il denaro credo che sia l’elemento più cospicuo esistente in natura subito dopo l’idrogeno. Poi ci sono i professori, poi vengono tutti gli altri materiali dell’universo. La vera definizione di professore è “uno che non sa”: soltanto chi non sa insegna, ed io confermo questa regola; si insegna tutto quello che non si sa e che si vorrebbe sapere.
Pensate questo: comprensione, compressione e poi realizzazione, concretizzazione, perché per realizzare qualcosa bisogna prima comprendere. Quello che noi comprendiamo, cioè le cose che facciamo diventare nostre, comprime il tempo; se noi siamo terreno fertile alla comprensione, allora noi possiamo comprimere il tempo. Quello che per fare agli altri occorrono dieci, venti anni o intere generazioni, si può fare in poco tempo se noi comprendiamo. Quindi la vera compressione del tempo, l’accelerazione che ognuno di noi potrebbe realizzare è una comprensione.
L’uomo si scolla dalla superficie ed entra nella terza dimensione; entrare nella terza dimensione significa rovesciare la propria psicologia, ed uno degli elementi cardine di questo rovesciamento della psicologia è “ama il tuo nemico”. Perché chi ama il suo nemico ha capito la via dell’evoluzione. Cioè, io per ergermi ed uscire da questa piattezza ed entrare in una zona non conflittuale ed entrare veramente nelle soluzioni, diventare la soluzione, allora la prima cosa che devo capire, uno dei concetti base è proprio quel paradosso, che suona ancora spaventoso all’uomo ordinario. Perché se io amo non è più nemico, e se è nemico non lo posso amare; questo è già il superamento della conflittualità. Il nemico non è più nemico, e io lo amo perché capisco che mi sta dando la mia opportunità, LUI è la mia opportunità. Nel momento in cui io lo temo, lo evito o addirittura gli giro le spalle, ho girato le spalle alla mia evoluzione. E tutto dovrà degradare.
Il concetto di impeccabilità è legato al concetto di fortuna; Cesare, nel momento in cui deve vincere, e quindi mettere insieme l’esercito che si sta disperdendo, dice di sé due cose: primo, io sono giusto, non ho mai peccato di avarizia nei vostri confronti, poi sono un uomo senza macchia, cioè impeccabile. Questo significa che egli è uno di quegli uomini che quando punta in una direzione non permette diversioni, non diverge; questo significa che è un uomo “felix”, fortunato. Quindi la fortuna di un uomo è soltanto il riflesso della sua impeccabilità. Solo un uomo impeccabile può essere fortunato, questo è il grande messaggio. I Greci vedevano la Fortuna come una dea bendata che dispensa i suoi favori in modo cieco; i Romani invece credevano nell’Homo Faber, in un uomo che costruiva la propria fortuna. E come si costruisce questa fortuna? Con la propria impeccabilità; e cos’è l’impeccabilità? Non divergere dall’obiettivo, qualunque esso sia.
Qualunque sia la direzione che scegliete, l’impeccabilità è una sola, una sola qualità: puntare in modo inflessibile senza dimenticare il proprio aim. Ricordare costantemente, e soprattutto ricordare sotto le circostanze più difficili. Perché la cosa importante non è tanto ricordare il proprio sogno, la propria direzione quando siamo seduti tranquillamente in poltrona, ma quando le condizioni diventano difficili, quello è il momento in cui noi dovremmo ricordare dove stiamo andando, perché ci stiamo andando e perché noi non dobbiamo deviare da quella direzione. Quando noi abbiamo fatto questo nelle condizioni più difficili, stiamo rinsaldando il sogno, lo stiamo rendendo ancora più luminoso, ancora più presente in noi, e tutto quello che appartiene al sogno si deve mettere insieme per permetterne la realizzazione. Altrimenti noi non ci spiegheremmo come mai un uomo da solo, soltanto perché ha concepito qualche cosa, sembra quasi che tutto il mondo debba trasformarsi e modificarsi per permettere che quella cosa accada. Nessuno può programmare una cosa del genere, se non questa misteriosa, invisibile forza che mette insieme eventi, circostanze e risorse quando c’è un uomo che punta una direzione. E anche se fosse la trasformazione del mondo, anche il sogno più incredibile, diventa realtà se c’è un sognatore impeccabile. L’impeccabilità ad un certo punto si identifica con la fortuna.


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mercoledì 15 giugno 2016

"Conosci te stesso" di Stefano D'Anna

Cosa succede quando vi dedicate a scrivere una poesia, a fare un lavoro artistico? E’ interessante fare anche un’annotazione di come avete trovato questo momento, quali ostacoli e quali impedimenti trovate in questo momento creativo, qualunque esso sia.
Dobbiamo vedere come ulteriormente espandere le nostre digressioni sull’uomo, sull’imprenditorialità, sul perché esistono queste due specie che si vanno sempre più chiaramente delimitando: una specie umana, chiamiamola umana ancora, con certe caratteristiche psicologiche, e un’altra specie umana con altre caratteristiche psicologiche. Poiché l’uomo è un’animale speciale, e la psicologia è parte fondamentale del suo essere, una differenza psicologica può creare una vera e propria speciazione. Cioè, può creare esattamente due specie, anche se poi apparentemente avranno la stessa conformazione fisica, lo stesso scheletro, le stesse caratteristiche biologiche, ma la differenza psicologica potrebbe essere una caratteristica fondamentale per portare addirittura alla individuazione di due specie distinte. Il che spiegherebbe anche la lotta che esiste continuamente nel corso dei secoli, dei millenni della nostra civiltà, tra questi due tipi di uomo. Abbiamo già cominciato ad individuarne le caratteristiche: abbiamo diviso l’umanità in INDIVIDUI e DIVIDUI; nel concetto di dividuo si incarna il concetto di dipendenza.
La dipendenza è un fatto interno, che però si manifesta nel linguaggio e nel comportamento; abbiamo visto che c’è una specie di invisibilità dell’uomo, c’è una specie di contenitore entro cui c’è tutto quello che noi non vediamo, tocchiamo, sentiamo di un uomo, tutto quello che non possiamo misurare, guardare, vedere, toccare. Tutto questo è l’essere dell’uomo: le sue idee, la sua fede, in che cosa crede, in che cosa non crede e così via, sensazioni, percezioni, idee generali, modi di pensare, cose che ama, che non ama, quello che accetta, quello che respinge. Tutto questo forma quella parte invisibile di noi stessi che poi abbiamo messo sotto una specie di etichetta unica che è la qualità dell’uomo. Quindi alla fine siamo riusciti ad individuare che l’uomo è una qualità, più alta o più bassa. Questa qualità è data in modo fondamentale se non esclusivo dalla parte invisibile di un uomo, quelle che sono le sue idee, al punto tale da dire “Dimmi come pensi e ti dirò quale dovrà essere il tuo futuro”.


Abbiamo fatto una scoperta straordinaria, insieme. Da tutta la Grecia andavano dall’oracolo di Delfi in pellegrinaggio per sentire la sacerdotessa ispirata dal dio che cosa poteva dire sul loro futuro; e anche i più grandi studiosi del pensiero greco si fermano di fronte a questa cosa: io vado a sentire l’oracolo per capire qual’è il mio futuro e questo mi fa trovare sulla porta scritto a lettere cubitali “CONOSCI TE STESSO”. Cosa c’entra il conosci te stesso sul tempio della divinazione, e pensate che la divinazione per i Greci era l’arte più importante in assoluto, la scienza più importante in assoluto: nulla si faceva, nulla si intraprendeva in Grecia se prima non si interrogava l’oracolo. Quindi la sapienza in tutta l’età presocratica coincide con la divinazione; il sapere, tutto quello che poteva conoscere l’uomo, l’uomo era veramente sapiente se poteva vedere nel futuro, altrimenti era una sapienza che non interessava nessuno. Per i Greci l’unica sapienza seria, importante era la divinazione. Dopo l’età socratica la sapienza invece diventa la ricerca del sapere, la filosofia: la nascita della filosofia è un fatto post-socratico.
Andando nel cuore di quella civiltà che si fondava sulla divinazione, nel tempio del dio Apollo che era il dio della sapienza e della divinazione, troviamo scritto sulla porta “Conosci te stesso”. Allora, che cos’è “conosci te stesso” se non conoscere il proprio pensiero? Quando ci facciamo quella sfida di mettere carta e penna sul comodino la mattina per cercare di catturare un frammento del nostro pensare, tra i cinquantamila pensieri che ci attraversano tutti i giorni prendiamone uno, per fare una biopsia di questo organismo che è il nostro pensiero, e facciamo esattamente l’operazione che si fa con la cellula rispetto a un organismo: andiamo a vedere, a risalire da quella indagine microscopica a che cosa è l’organismo. Presa una cellula noi possiamo sapere tutto dell’organismo, e preso un pensiero noi possiamo sapere tutto del nostro modo di pensare. E quando ci accorgiamo che il nostro pensare è modesto, è piccolo, è povero, è limitato, il pensiero dell’uomo è questo.
Nel mondo Greco avevano individuato due categorie di uomini: quelli che si svegliano la mattina pensando alla bolletta dell’ENEL, a come pagare il telefono, e altri che invece si svegliano con altre idee. C’era tutta un’umanità, che diciamo pari al 99,9%, che si svegliava preoccupata, immersa in preoccupazioni inutili, e un’altra parte invece che si svegliava animata da un grande disegno. Questi sono i due tipi di umanità che già i Greci riconoscevano; esisteva già una speciazione in corso, l’umanità produceva già due rami. Gli umani che si biforcavano erano pochi, così pochi che addirittura i Greci gli riconoscevano una semideità, una semidivinità. Poi l’indagine è ancora in corso, se questo numero sta aumentando nel tempo, se queste cellule stanno aumentando o sono stabili o il loro rapporto rispetto all’umanità in generale è in crescendo o si sta riducendo ma fatto sta che sicuramente questi due tipi umani esistono. Esistono al punto tale che, se vi ricordate le parole di Caligola “se io sono uomo voi siete animali, se voi vi riconoscete come uomini allora io sono un dio”, e con questo voleva stabilire la differenza tra gli uomini.
Questa è una visione fatta in scala: non possiamo mettere gli uomini tutti sullo stesso piano, e tutti i tentativi fatti nel corso della storia dell’umanità, nella storia della civiltà di rendere gli uomini uguali sono falliti. Vi ricordate quell’esperimento di cui vi ho parlato, di 2800 anni fa, in cui la formula per scacciare Teodoro fu “Vai con gli altri, qui non ti vogliamo, tu che vuoi essere migliore”. Altri tentativi probabilmente sono ancora anteriori; i tentativi di veder sparire queste differenze tra gli uomini sono visti come terribili, perché danno un senso della scala. Chi non si prepara non riesce ad avere una visione del mondo in scala, riesce solo a vedere un mondo in contrapposizione. Non posso accettare che qualcuno sia avanti per meriti, per qualità, per capacità, ma soltanto per circostanze fortuite, e allora sento la contrapposizione: perché lui e non io, perché lì e non qui, perché su e non giù, e in tutte queste separazioni ci sfugge che in effetti il mondo è un continuo; non è un mondo di contrapposizione, ma la visione più esatta, la più accurata, la più intelligente è quella di un mondo fatto di continui.



E allora tutto il lavoro che è al centro del pensiero creativo, che è quello che noi stiamo studiando, è fatto per portarci verso una nuova visione del mondo. Quando incontrerete gente che dirà che questo è un problema, voi direte che è anche una soluzione; questa è una malattia, ma è anche una guarigione, questo è sopra, ma è anche sotto, questo è a destra, ma è anche a sinistra. Perché? Perché uno dei modi più efficaci di osservare la stupidità umana è stato quello di Swift, che nel suo racconto fantastico dei viaggi di Gulliver scopre che anche in quel micro mondo di esseri piccolissimi esisteva una mente conflittuale che si esercitava in tutti i modi possibili, anche inventandosi due partiti di cui uno apriva l’uovo dalla parte di sopra e uno apriva l’uovo dalla parte di sotto. Poi esisteva il partito dei tacchi alti e il partito dei tacchi bassi. E’ attualissima l’ironia di Swift applicata all’uomo di oggi, perché c’è chi darebbe tutta la sua fiducia a Di Pietro e chi crede che sia un malfattore, chi vuole andare a destra e chi a sinistra, chi vuole andare su e chi vuole andare giù; in effetti l’uomo cerca soltanto una scusa all’esterno per giustificare una divisione, una spaccatura che è interna.
Loro avevano l'esatta convinzione che l'essere e l'avere fossero la stessa cosa, e in effetti poi soltanto il tempo ci impedisce di vedere questa equazione. Accettare questo significa veramente dare una svolta alla nostra vita, perché nel momento in cui sappiamo che potremo avere soltanto quello che siamo, che niente può venirci incontro che non ci corrisponda, ci farà smettere di accusare e ci farà diventare un uomo interiore. Perché noi scopriremo in noi stessi il motivo e la ragione di tutto quello che ci accade. Quando l’uomo assume questa responsabilità, “nulla mi accade che io non abbia permesso”, e “il mio modo di pensare di oggi sta preparando gli eventi che mi arriveranno tra qualche tempo”, non si può stabilire quanto tempo impiegherà questo pensiero a trasformarsi in realtà, ma il pensiero è creativo, sempre creativo.
Un pensiero positivo crea la possibilità, un pensiero di prosperità crea la prosperità, un pensiero di infelicità o di povertà crea la povertà e l’infelicità. Allora la prima responsabilità è il management del proprio sentire, il management interno; la nostra prima gestione riguarda un’impresa interiore. Ognuno ha ciò che si merita, si dice anche nella saggezza popolare, perché essa si costruisce attraverso i secoli e in qualche modo è come una visione dall’alto che abbraccia un certo numero di secoli. Quando noi cominciamo ad avere queste compressioni, cioè quando riusciamo a prendere un arco di tempo sufficientemente lungo e a comprimerlo per cercare di capire, questa compressione ci porta in una verticale: noi ci innalziamo e guardiamo un fenomeno, e guardandolo nel tempo cominciamo a dire “Ecco perché”. Perché il tempo si annulla.
Se io sono sull’Empire State Building e sto guardando due macchine che si stanno venendo incontro, una sta svoltando l’angolo e sono quasi in rotta di collisione, mi rendo conto che queste si incontreranno in un certo punto, è come se io avessi la possibilità di vedere il futuro; ma nessuno di quelli che stanno sul piano riesce a sapere che sta per accadere qualche cosa, cosa che per me è evidente. Quest’innalzamento, questo sollevamento della visione è uno scollamento dal piano; noi stiamo studiando i modi di scollarci dalla superficie, di avere o mantenere il più possibile la frequentazione del mondo verticale. Questo mondo verticale è il mondo delle soluzioni, è il mondo delle idee, è il mondo della felicità e della prosperità. E’ come la caverna di Alì Babà: c’è un posto dove io posso andare in questa caverna, e il futuro è già lì, è già presente.
Sappiamo già che sconfiggeremo l’AIDS, sappiamo già che conquiste della scienza e della tecnica sono a portata di mano, ma quando le raggiungeremo, quando diventeranno realtà? Quando l’uomo sarà pronto, non prima. Quindi, scienza e coscienza viaggiano insieme, e noi non possiamo avere scientificamente quello che non siamo preparati a ricevere dal punto di vista della coscienza. Cioè un’umanità impreparata non dovrebbe avere una tecnica che non è in grado di dominare con la propria comprensione. Non c’è nessun animale che dalla natura riceva una forza, qualunque sia, che non sia controllabile dal suo sistema nervoso. Più un animale è forte e potente, più è capace di controllare la propria forza: se questa è una legge naturale applicabile all’uomo e alle società, che è una nostra estrapolazione di cui dobbiamo prenderci la responsabilità, riusciamo ad accertare che un uomo non può avere più potere di quanto sia in grado di gestire. E questa gestione è proprio il suo sistema nervoso, il suo pensiero. Il nostro pensiero controlla la realtà e addirittura la crea.
Quindi questa era la visione dei Greci: la corrispondenza tra il pensiero, perché “conosci te stesso” significa avere consapevolezza del proprio pensare e sentire, e il futuro. Allora se io so, conosco il mio pensare, so anche il mio futuro; se io prendo adesso un frammento dei miei pensieri so anche cosa posso attendermi dalla vita. E’ una notizia buona e anche cattiva insieme, quindi non è né buona né cattiva, è soltanto come stanno le cose.

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giovedì 9 giugno 2016

"I PROBLEMI SONO OVUNQUE. E LE SOLUZIONI?" di Stefano D'Anna

L’umanità è rinchiusa in un labirinto; da sempre langue in una prigione di ripetitività senza trovare soluzione ai suoi millenari problemi. Ma proprio dal mito di Dedalo, l’uomo prigioniero della sua stessa creazione, arriva l’indicazione di una possibile via di fuga. La soluzione è il problema visto dall’alto. La via di Icaro.
 Il mito di Dedalo, l’uomo prigioniero della sua stessa creazione, di origine cretese-micenea, si perde nella notte dei tempi ed è il più antico che la nostra civiltà ricordi. Non c’è nell’immaginario della società occidentale un’idea archetipa più emblematica della nostra condizione. L’umanità è rinchiusa in un labirinto; da sempre langue in una prigione di ripetitività senza trovare soluzione ai suoi millenari problemi. Ma proprio dal mito di Dedalo e del labirinto arriva l’indicazione di una possibile via di fuga. La soluzione è il problema visto dall’alto. La via di Icaro.
Minosse ci chiuse ogni via
ma il cielo non ci potè chiudere
(Ovidio – Ars Amatoria)



La stirpe di Sisifo
Molti sono i malanni, e molte e gravi sono le sfide globali che ci fronteggiano: dall’inquinamento del pianeta alla povertà endemica di intere regioni, dalla morte per fame di un bambino ogni sette secondi alla criminalità, ai mille conflitti e focolai di tensione tra paesi ed etnie. La realtà dell’uomo senbra avere come caratteristica dominante la problematicità. Tutti sono alla ricerca di soluzioni. Gli uomini, i governi, le civiltà, vorrebbero conoscere la via d’uscita dal labirinto, possedere il filo d’Arianna o le ali di Icaro.
Perfino il fenomeno della fame nel mondo si è aggravato. Pur disponendo dei mezzi e delle tecniche più moderne, paradossalmente, oggi produciamo meno cibo per il terzo mondo di quarant’anni fa.
Siamo della stirpe di Sisifo. Da millenni sospingiamo in salita problemi pesanti come macigni per poi vederli rovinare a valle. Li spostiamo nello spazio, o li posponiamo nel tempo, e chiamiamo questo soluzione. Eravamo inadeguati nell’età della pietra quando potevamo contare solo sulle nostre mani nude e la selce e lo siamo ancora oggi, nell’età digitale, con a disposizione energia atomica e Internet. E’ ora di riconoscere la causa della nostra impotenza.

La soluzione è il problema visto dall’alto


L’ipotesi su cui abbiamo è che problema e soluzione non sono opposte polarità dell’esistenza ma i profili di un’unica realtà. Se fossimo capaci di innalzarci nell’essere, se potesssimo ergerci al di sopra del piano della visione ordinaria, ci accorgeremmo che la soluzione non è divisa dal problema. Essi sono la stessa ed unica cosa. C’è solo una differenza di livelli. La soluzione è il problema visto dall’alto.
La scoperta si sta rivelando di immenso valore pratico nella preparazione di una nuova generazione, uomini visionari, sognatori pragmatici che non credono più nella ricerca di una soluzione esterna ma nella propria capacità di essere la soluzione.
Non esiste un sentiero da scegliere, ma solo la fiducia in se stessi e nella propria integrità.
E’ la tua visione che crea il cammino, è il tuo passo che crea il sentiero. Un leader non ha bisogno di scegliere una direzione perché lui è la direzione, l’inventore del sogno che si sta svolgendo e che prende le sembianze della realtà.  (Il Dreamer)
Questi uomini sanno che quello che gli altri comunemente chiamiamo problemi sono in realtà soluzioni in incognito, sono guarigioni non riconosciute. La soluzione c’è sempre, arriva insieme al problema, è anzi tutt’uno con esso, ma per raggiungerci deve attraversare la nostra psicologia conflittuale, strati e strati di zavorra emozionale, deve entrare in mondi sottostanti dove non può che assumere aspetti problematici. Solo col tempo, talvolta, riusciamo a riconoscere la soluzione laddove avevamo visto solo il problema.

Aspettando Godot
L’uomo cerca fuori di sè. Corre e si affanna per tutta la vita inseguendo soluzioni esterne che nel tempo si trasformano a loro volta problemi, formando un circolo perverso senza fine. Per un destino infelice non sapremo mai che fuori di noi non c’è nulla e nessuno che può aiutarci. Aspetteremo per sempre Godot (God-ot), crederemo in un deus ex machina che possa risolverci dall’esterno, senza mai realizzare che la soluzione siamo noi! Come renne, inseguiremo la fragranza di muschio, quell’essenza che ci inebria, senza mai scoprire che essa non è fuori ma è secreta dalle nostre stesse ghiandole.
L’uomo cerca la libertà, la felicità, l’amore, cerca soluzioni fuori di sé, ma il viaggio del figliuol prodigo non è esterno… è un’avventura interiore, è il viaggio di ritorno all’unità dell’essere. L’uomo incessantemente tenta questa impresa: la riconquista della sua integrità, di uno stato di completezza, di unità interiore, ma niente sembra possa riportarlo nel suo paradiso perduto.

L’arte di decidere
Tra tutti gli organismi, le imprese soprattutto, per loro natura, vivono come arche flagellate da un oceano di problemi. La loro vita potrebbe definirsi un insieme di intervalli di apparente successo tra una crisi e l’altra, fino all’ultima che ne segnerà il declino e la morte. Consapevoli della loro fragilità e vulnerabilità, le organizzazioni sono continuamente alla ricerca delle soluzioni e del modo migliore per prendere le decisioni più giuste, sotto le più varie circostanze.
Dalla esigenza di avere guide-lines da seguire nel prendere decisioni, un rituale che possa placare questa stremante, stressante condizione di continua incertezza, sono nate le tecniche decisionali e di “problem solving”. Non c’è programma di executive education, o master in business administration che si rispetti, e neppure il più striminzito certificate in management, che non preveda almeno un insegnamento, con relativo esame, di decision making. Scopo di questi corsi è di dotare il manager di un ventaglio di tecniche capaci di assisterlo nell’individuare le possibili soluzioni e saperne valutare svantaggi e limiti, punti di forza e debolezze.

Il gut-feeling. Decidere d’istinto
Da Harvard in giù, dai College della heavy Leage americana alle 18 più blasonate università inglesi del Russel Group, negli ambienti accademici e scientifici di tutto il mondo domina la convinzione che la soluzione è qualcosa che è lì, fuori di noi, come un porcino o un tartufo che aspetta solo di essere trovato. Se solo sapessimo  come  approcciarla, se avessimo le giuste tecniche, ognuno potrebbe scoprire la via d’uscita, la soluzione, essere un decision maker, un leader. Questa fede di radici illuministe e settecentesche nella razionalità dell’uomo e nelle sue facoltà di discernere tra tutte quelle possibili la decisione più giusta, è tanto erronea quanto indiscussa. La realtà è che, se abbandoniamo le torri d’avorio accademiche e mettiamo il naso fuori dalle aule, scopriamo che le decisioni, nei moderni contesti, negli scenari ad alta competitività, sono prese in tutt’altro modo.
Al di fuori delle decisioni di routine su questioni semplici che possono rientrare nella discrezionalità di un impiegato, per le questioni più vaste e complicate, ed in genere nei processi decisionali di sistemi complessi, dove le variabili in gioco sono innumerevoli, come le grandi multinazionali, l’unica soluzione è l’istinto. 
“Un uomo puntato verso l’alto, impeccabilmente teso al suo miglioramento, può trovare soluzioni a  situazioni apparentemente inestricabili, trasformare le avversità in eventi di ordine superiore “.

La decisione di Washington
Verso la fine del 1776, reduce da una serie di sconfitte: Harlem Heights, White Planes, culminate nell’abbandono di New York, l’esercito americano è allo sbando, stremato, privo di tutto. Inseguito da 20.000 “giubbe rosse”, riposate e ben equipaggiate, Washington cerca scampo a Sud, verso il New Jersey. Il suo scopo è salvare i suoi giovanissimi soldati che sarebbero stati impiccati o passati a fil di spada, giustiziati come rivoltosi. Gli inglesi non riconoscendoli come un esercito nemico, non facevano prigionieri. Alla vigilia di Natale arriva sulle sponde del Delaware; requisisce tutte le barche che riesce a trovare e lo attraversa sperando che il fiume non geli completamente e possa rallentare gli inseguitori.
Tragettati con turni massacranti tutti i suoi uomini, giunto dall’altra parte, George Washington riceve un notizia ferale: Trenton, uno degli ultimi baluardi ancora in mano ai patrioti, è stato preso da un esercito di mercenari tedeschi al servizio degli inglesi. 500 patrioti sono stati giustiziati.
A quel punto, con una decisione che non ha nulla di razionale e che passerà alla storia, il Generale Washington riattraversa il fiume in tre colonne e va ad attaccare Trenton il giorno di Natale del 1776. La conquista in un’ora, usando le baionette, in assenza di munizioni. E’ l’inizio di quella che gli storici avrebbero poi chiamato “Christmas Campaign” che sovvertì le sorti della guerra fino alla vittoria di Yorktown e alla nascita degli Stati Uniti d’America.

Prima di qualunque soluzione viene il nostro cambiamento.
Chi sa produrre intenzionalmente in sé il più piccolo innalzamento dell’essere sposta montagne e si proietta come un gigante nel mondo esterno.
Intervenendo sui nostri stati, sulla qualità dei nostri pensieri, sui modi di sentire, circoscrivendo le emozioni negative, denutrendo alcuni e alimentandone altri, non solo modifichiamo la nostra attitudine, quindi il nostro rapporto con gli eventi che ci arrivano dal mondo esterno, cioè il nostro modo di reagire, ma anche la natura stessa degli eventi che si susseguono giorno dopo giorno.
“Solo un uomo capace di puntare tutto su se stesso, solo un uomo che ‘vuole’, che chiede e cerca di cambiare con tutte le sue forze, può farcela” - intervenne il Dreamer arrestando quella mia caduta - “E anche se agli occhi dell’umanità ordinaria egli appare un temerario, una persona che vive ad alto rischio, o addirittura un incosciente, un uomo guidato dalla integrità e dalla serietà è costantemente accompagnato da questo ‘senso di salvezza’. Solo lui sa che in realtà non sta rischiando nulla. Nel business, nelle imprese apparentemente più temerarie, chi ha questa certezza non può essere attaccato, non può fallire. Qualunque cosa tocchi si arricchisce e moltiplica; sotto qualunque circostanza, anche la più disperata, trova sempre la soluzione. E ha sempre successo perché lui stesso é la soluzione.

Decidere
Nell’etimo stesso della parola decidere c’è qualcosa di arcano. Che la radice sia caedere, cadere, abbattere, o prevalga invece l’elemento cida, cidium, eliminare, vi si sente racchiuso un terribile monito. Quella che pensiamo sia la nostra facoltà più nobile, indissolubilmente legata al libero arbitrio e alla volontà, nasconde la caduta, la disfatta.
Uno dei pregiudizi più diffusi, e in verità l’architrave su cui poggia la comune descrizione del mondo, è che esistano decisioni oggettive che tutti potrebbero prendere se avessero a disposizione tutte le informazioni necessarie e le tecniche decisionali per poterle vagliare, per leggerle e pesare.
In verità, la cosa più straordinaria da scoprire sulle decisioni e sui processi decisionali è che non esitono decisioni oggettivamente buone o valide in assoluto. Esse dipendono dall’uomo che le prende.
Difficilmente saremmo qui a discutere di America se la certezza nel più errato e strampalato dei calcoli non avesse sostenuto Cristoforo Colombo che, fino alla morte, restò convinto di avere trovato la via alle Indie. E i poveri indiani d’America portano ancora, registrato per sempre nel nome, il retaggio di quella meravigliosa erronea certezza.
“Nel mondo degli eventi, nel mondo degli opposti, non puoi incontrarti con la soluzione. La soluzione non è sullo stesso piano del problema.
“Solution comes from above and not in time! Bisogna sapere come entrare nel mondo delle soluzioni. Quando ti innalzi nell’essere tutto quello che ti era apparso nebuloso diventa chiaro e gli apparenti problemi che sembravano montagne insuperabili si rivelano lievi gibbosità...”.
(Il Dreamer)
Per cambiare la realtà bisogna cambiare il sogno
Da millenni non succede nulla. I problemi planetari, dalla povertà alla criminalità, fino alla conflittualità e alle guerre, sono gli stessi di sempre, nell’età della pietra come nell’età digitale. Eppure ci illudiamo di migliorare.  
‘Migliorare’ è la parola d’ordine di chi vuole lasciare tutto com’è; di chi indulge in un modo di pensare obsoleto, privo di vitalità. Credere che il mondo possa essere migliorato dall’esterno è la convinzione fideistica di un’umanità che non ha la forza di affrontare alla radice il suo male. Occorre una rivoluzione del pensiero. Un capovolgimento. Per cambiare la realtà bisogna cambiare il sogno. Solo l’individuo può farlo. 
Il tempo curva, e l’uomo e tutte le civiltà da lui create curvano e degradano con una ciclicità che li riporta sempre al punto di partenza, al passato, mentre hanno l’illusione di andare verso il futuro. La soluzione, nella vita di un uomo come nella storia di una civiltà, non è quindi mai nel tempo ma in un ‘tempo verticale’, in un tempo senza tempo, in un innalzamento della qualità del pensiero che può avvenire solo in questo istante.
Solo gestendo l’attimo sospeso tra il nulla e l’eternità l’umanità potrà modellare il suo destino, creare eventi di ordine superiore”.
I Greci antichi avevano per questo sognato città dove dall’archiettura ai sublimi monumenti esposti nelle piazze, dal teatro, alla musica, allo sport, tutto era al servizio dell’essere, del suo innalzamento verso il mondo delle idee, delle soluzioni. Ma soprattutto la Grecia classica, sempre allo scopo di accedere a zone di libertà, dove gli uomini diventano la soluzione, inventò le università, creò scuole di pensiero che nascevano intorno a un maestro, presupponevano la sua vicinanza con i discepoli; sorgevano in luoghi incantevoli scelti per la magia della loro storia. Non a caso erano poste sempre vicino a fiumi e a fonti d’acqua. L’Accademia si trovava in prossimità del Cefiso, il Liceo, ad est di Atene, era lambito dalle acque dell’Eridano e il Cinosarge, a sud della città, dove insegnò il cinico Antistene, era vicino all’Ilisso. L’acqua, oltre che simbolo di vita e di conoscenza, serviva per le abluzioni. In queste scuole la cultura del corpo e dello spirito erano i due profili della stessa realtà, indivisibile.
Se sapessimo ridare centralità all’individuo, metterlo al centro di ogni attenzione, potremmo cominciare a guarire l’umanità, cellula per cellula.


La nostra civiltà deve rifondare l’educazione, ricreare Scuole e Università dell’essere; dobbiamo ritornare alle nostre radici, attingere di nuovo a quella saggezza, a quell’amore per la bellezza e per la vera sapienza che è la conoscenza di sé, la soluzione.
“Noi abbiamo regredito dal meraviglioso progetto dell’Accademia e dal “sogno” di Platone. Le università del futuro faranno quello che oggi non fanno, insegnare l’arte del “self-discovery”. Ogni studente è una luce che aspetta di accendersi per disperdere l’oscurità” – ha detto Ben Okri, poeta e scrittore nigeriano, educato a Cambridge, concludendo sabato scorso la storica conferenza del Times “A cosa servono le università?”

(Da La Scuola Degli Dei di Stefano E. D’Anna)

“Diventa la soluzione... dentro!” - comandò il Dreamer - Fuori, non c’è nessun problema da risolvere… né un cattivo da cui difendersi o un nemico da combattere. Per dare una risposta al mondo devi diventare la soluzione... Entra in una sincerità, nella semplicità, nella leggerezza, nella luminosità del tuo essere... Se sarai capace di guardare il ‘gioco’ dall’alto, scoprirai che per un uomo integro la soluzione arriva sempre prima del problema.




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