Dal Plaza
Concert sul Bund osservavo con il Dreamer l’intenso traffico delle imbarcazioni
solcare lo Huangpu. In quel punto l’immenso fiume scorre tra le due anime di
Shanghai: quella del periodo coloniale europeo, dall’architettura monumentale,
e quella dei nuovi quartieri di Pudong, dall’avvenieristica skyline. Qui, a
perdita d’occhio, la città è un immenso cantiere disseminato di grattacieli
dall’architettura visionaria, sognati per una megalopoli del futuro.
Non avevo
più incontrato il Dreamer dal tempo del mio ritorno dal Kuwait e
dall’inserimento nel mio nuovo lavoro nel Far East. In questi mesi infinite
volte avevo letto e riletto gli appunti raccolti nel mio lungo apprendistato, e
nelle diverse circostanze della vita avevo tentato di
mantenere
saldi i princìpi appresi da Lui. Avevo tanto desiderato questo momento eppure
temevo quell’incontro. Due questioni strettamente connesse erano ancora
pendenti e restavano aperte come ferite non rimarginate: il modo in cui avevo
abbandonato il Kuwait e la mia relazione con Heleonore. Erano faccende spinose
che non avrei potuto più eludere.