sabato 1 novembre 2014

“Il mondo ci è stato raccontato” di Stefano D'Anna

«Incontrare la Scuola è l’evento più straordinario della vita di un uomo… l’unica opportunità per sfuggire alla ipnosi comune – epilogò il Dreamer – per realizzare che tutto quello che vedi e ti circonda non è il mondo… ma solo una descrizione.»
«Ma io Ti ascolto, tocco questo tavolo... vedo la gente che passa... so che ognuno di questi uomini ha una vita, un lavoro, una famiglia… come può tutto questo essere una descrizione, una mia visione?»
«Le immagini che cadono sulla retina non sono il mondo ma il suo racconto – rispose laconicamente il Dreamer – Il mondo ti è stato descritto.»
La meraviglia per quello che stavo ascoltando fu superata da una meraviglia più grande quando gli sentii aggiungere in un soffio:
«Il vero creatore della realtà che ti circonda sei tu!... lo hai solo dimenticato… »
«Cosa ho dimenticato?» chiesi. Una vena di ostilità nella mia voce indicava la distanza che si stava creando tra noi.
«Tu sei la causa di tutto e ogni cosa. Un giorno quando sarai guarito, saprai che tu sei le radici del mondo. Il mondo per esistere ha bisogno di te…Hai dimenticato di essere l’artefice, l’inventore, e sei diventato l’ombra della tua stessa creazione.». Il tono che usò annullò quel divario sul nascere
e mi rimise in riga, come uno scolaretto.

«Il mondo è soggettivo, personale!… È il riflesso speculare del nostro Essere… Visione e realtà sono la stessa ed identica cosa; ciò che li divide è solo il ‘fattore tempo’… »
Avrei voluto dire di sì. Accettare la Sua visione. Eppure, qualcosa in me si opponeva. La mia razionalità vacillava ma non cedeva. Com’era possibile trovarsi di fronte ad uno stesso oggetto, panorama, evento o persona, ed averne visioni diverse?
«Ma esisterà bene una realtà oggettiva! – affermai per mettere un puntello alle mie convinzioni di sempre – In fondo una cosa non può essere nient’altro che quello che è… »
Ancora tentavo di difendere le ‘mie’ credenze, ma sapevo che, per quanto radicate, non avrebbero resistito. Erano destinate ad essere sovvertite a contatto con la visione del Dreamer. Anche questa volta, come tutte le altre volte, ci sarebbe stato l’imprevedibile prodigio: quello scatto nella comprensione che, accanto a Lui inevitabilmente avveniva senza tuttavia poter prevedere come e quando. Desideravo e temevo quella trasmutazione. Quando finalmente accadeva, sentivo le pareti dell’Essere allargarsi a dismisura per fare spazio ad una visione più chiara, più libera, più intelligente del mondo. Vedendomi ancora perplesso, sferrò un altro, decisivo colpo di ariete alla descrizione del mondo ed aggiunse:
«Noi possiamo vedere solo ciò che siamo!»
Poi con il Suo inimitabile umorismo, sottilmente prossimo al sarcasmo, dichiarò:
«Se un ladro incontrasse un santo ne vedrebbe soltanto le tasche.» Questa boutade fu per me illuminante e per qualche istante indugiai in quell’immagine comica ed istruttiva. Ma il Dreamer aveva già ripreso il Suo discorso con piglio severo, come se quella divagazione, per quanto minima, l’avesse fatto rallentare o divergere fin troppo dall’obiettivo del nostro incontro.
«Solo l’incontro con la Scuola può permetterci di sfuggire alla rigidità di una vita ordinaria. Soltanto un ‘lavoro di scuola’ potrà un giorno permetterci di ‘vedere’ il mondo al di là della sua falsa descrizione.
Soltanto un ‘uomo di scuola’ potrà un giorno accedere ad una visione armoniosa, ad uno stato d’integrità. E solo una visione armoniosa e integra, potrà guarire il mondo.»
Il Dreamer mi rivelò che Scuole di preparazione per uomini straordinari erano sempre esistite, in tutti i tempi ed in tutte le civiltà. Queste ‘scuole’ al di là delle differenze filosofiche e culturali che sembravano distinguerle, erano in realtà una sola Scuola.
La sua voce era rimasta immutabilmente la stessa, il suo pensiero aveva attraversato tutti i tempi e tutte le civiltà. Questa scuola Egli la chiamò la ‘Scuola dell’Essere’: una fucina universale di sognatori, dove uomini visionari, utopisti luminosi, hanno da sempre affinato il loro intento.
«Una scuola di trasformazione» la definì ulteriormente il Dreamer e si interruppe.
Aspirò intensamente le volute aromatiche che esalavano dal Suo tè, poi sottovoce completò:
«La Scuola degli Dei... dove, prima ancora di poter governare gli altri, si impara a governare se stessi.» La Sua voce mi diede i brividi. Si era trasformata nel sibilo marziale di un guerriero in azione.
«Una Scuola del capovolgimento – disse – dove si sovvertono convinzioni e idee… e prima di ogni altra, l’idea della inesorabilità della morte. La morte è una resistenza alla verità, all’armonia, alla bellezza. La morte distrugge qualunque cosa che non è capace di passare nella verità. Se siamo veri in
ogni cellula del nostro corpo non moriremo mai.»
Ripensai alla tradizione classica, anteriore all’età di Omero, che divideva l’umanità in due specie infinitamente distanti tra loro: gli eroi, campioni di un’umanità sognante, individui capaci di dare concretezza all’impossibile, e una moltitudine indeterminata di esseri senza volontà, senza sogni, senza volto.
Gli uni, guidati dal Fato, erano destinati ad una grande avventura individuale; gli altri, destinati a una esistenza insignificante, erano governati dalle leggi del caso e dall’accidentalità.
Mi illuminò il pensiero che i grandi miti, dalle epoche più remote, in realtà narravano le imprese di uomini che avevano incontrato la ‘Scuola’.
Le loro avventure, le lotte contro mostri e giganti, cantate da erranti aèdi, erano le tappe del ‘viaggio di ritorno’, di un viaggio nella propria psicologia, nei meandri più oscuri, più segreti dell’Essere. Il Dreamer mi spiegò che nelle regioni più nascoste dell’esistenza, lì dove schiumano emozioni negative e scorre il lete dei pensieri distruttivi, dei sensi di colpa… proprio lì c’è la fonte di tutti quei mostri, la scaturigine delle grossolanità, delle morti, di ogni nostra caduta…
«Bisogna innanzitutto scovare il nemico nella nostra carne. E quando l’avrai stanato te lo ritroverai davanti sempre più sottile, più potente… più spietato. L’antagonista cresce con te… Non esistono migliaia di nemici, ne esiste uno solo, e la vittoria è una sola… quella su te stesso.»
«Il ‘viaggio di ritorno’ è per un uomo la grande opportunità di guarire il proprio passato» disse, e con lo sguardo, lentamente, percorse la piazza, le chiese gemelle, i palazzi patrizi, le statue intorno all’antico obelisco; osservò la gente che l’affollava.
«Il mondo è il passato – affermò, coniando uno dei Suoi più mirabili aforismi – Chiunque incontri, qualunque cosa incontri è sempre il passato.
Anche se ti appare davanti in questo istante, quello che vedi e tocchi è solo la materializzazione dei tuoi stati… Past is dust. Il mondo che vedi e tocchi in questo preciso momento è la materializzazione di tutto ciò che sei stato…
Non c’è nulla che possa accadere nella tua vita che non abbia prima avuto assenso nei tuoi pensieri... Il mondo è polvere. Soffiaci sopra e disperdilo.»
Il Dreamer spostò leggermente la sedia accennando ad alzarsi. Il Suo movimento mi distolse  dallo sforzo di stare al passo con quelle nuove idee. Avevo un nodo allo stomaco. Avrei voluto immettere
quel vino nuovo, esuberante ed incontenibile, negli otri vecchi delle mie convinzioni. Avrei voluto costringere quell’oceano nei limiti di una razionalità che stava sbriciolandosi e soccombendo sotto i Suoi colpi. Mi perdevo in vuoti intellettualismi per nascondermi l’evidenza che il Suo insegnamento stava penetrando sempre più in profondità, diventando più pericoloso, fatale per i vecchi equilibri.
Intanto il Dreamer si era alzato. Con un cenno mi invitò a seguirlo.
Lasciavo un po’ a malincuore quell’angolo tranquillo dove l’aria ancora vibrava delle Sue parole. Mi sembrava di abbandonare un antico tempio, un’arca veneranda della conoscenza. Ogni dettaglio di quell’incontro si sarebbe fissato per sempre nelle mie cellule, compreso i tavolini imbanditi, i movimenti dei camerieri e perfino le sfogliatine di riso appena sfornate.
Attraversai con Lui la piazza e Lo seguii in una chiesa. Passando tra il transetto e l’altare, oltre la navata centrale, arrivammo nella piccola cappella. Nella semioscurità intravidi due grandi tele che si fronteggiavano. Diedi un’occhiata intorno; dalla nostra posizione la chiesa appariva completamente deserta. Il Dreamer mi chiese di inserire una moneta nella macchina a tempo. Una forte luce investì le due opere. Mi suggerì di osservarle dal centro della cappella, in un punto equidistante tra loro.
Seguii le Sue indicazioni ed esaminai attentamente quei due capolavori.
Il quadro a sinistra rappresentava Pietro crocifisso a testa in giù; l’altro la caduta di Paolo sulla via di Damasco.
«Questi due quadri non sono l’uno di fronte all’altro per caso – mi disse – Essi sono indissolubilmente legati da un unico messaggio.»
Il Dreamer tacque e restammo in silenzio. Interpretai quella pausa come un invito a riflettere e a tentare di scoprire il segreto di quella simbologia. Il tempo scandì l’inutilità di ogni mio sforzo finché il Dreamer liberandomi dall’imbarazzo mi rivelò che quelle due opere costituivano le riprese iconografiche più potenti dell’idea del capovolgimento.
«Queste opere trasmettono il respiro, l’ampiezza del pensiero di una grande Scuola di responsabilità – disse – Solo una tale Scuola può combattere pregiudizi e credenze millenarie, sovvertire i paradigmi mentali della vecchia umanità e guarirla per sempre dalla conflittualità, liberarla dal dolore… Vision and reality are one and the same thing. Il mondo è il tuo riflesso. Capovolgi le tue convinzioni ed il mondo, come un’ombra, seguirà.
La realtà prenderà la forma di una nuova visione.»





Nessun commento:

Posta un commento