Dal Plaza
Concert sul Bund osservavo con il Dreamer l’intenso traffico delle imbarcazioni
solcare lo Huangpu. In quel punto l’immenso fiume scorre tra le due anime di
Shanghai: quella del periodo coloniale europeo, dall’architettura monumentale,
e quella dei nuovi quartieri di Pudong, dall’avvenieristica skyline. Qui, a
perdita d’occhio, la città è un immenso cantiere disseminato di grattacieli
dall’architettura visionaria, sognati per una megalopoli del futuro.
Non avevo
più incontrato il Dreamer dal tempo del mio ritorno dal Kuwait e
dall’inserimento nel mio nuovo lavoro nel Far East. In questi mesi infinite
volte avevo letto e riletto gli appunti raccolti nel mio lungo apprendistato, e
nelle diverse circostanze della vita avevo tentato di
mantenere
saldi i princìpi appresi da Lui. Avevo tanto desiderato questo momento eppure
temevo quell’incontro. Due questioni strettamente connesse erano ancora
pendenti e restavano aperte come ferite non rimarginate: il modo in cui avevo
abbandonato il Kuwait e la mia relazione con Heleonore. Erano faccende spinose
che non avrei potuto più eludere.
Quel
pomeriggio era stato intenso e gli insegnamenti del Dreamer tra i più
straordinari ricevuti fino a quel momento. Al Suo fianco, ascoltandolo, avevo
attraversato i centenari giardini di Yu Yuan. Avevo poi camminato con Lui nella
ragnatela di stradine intorno al tempio buddista, nella zona del vecchio
mercato. Immerso nella densa folla di quell’immensa città,
con Lui
sentivo lo stupore e lo stesso senso di protezione di quando, stretto alla mano
di Giuseppona, sbirciavo le viscere scoperte di Napoli, ne attraversavo le vie
brulicanti come ferite verminose.
Il Dreamer
conosceva Shanghai e la Cina come se vi avesse vissuto a lungo. Me ne illustrava
la storia ed il pensiero attraverso i dettagli, commentando i più minuti eventi
della vita di ogni giorno. Un artigiano al lavoro, l’abbigliamento di un
passante o le trattative che si tessevano
fitte nei
minuscoli negozi, diventavano squarci profondi attraverso cui penetravo nelle
radici di una civiltà che era stata la culla del Confucianesimo. Il segreto di
quella colla sociale capace di tenere insieme più di un miliardo di uomini, la
saggezza compressa nelle sue sei virtù,
mi fu
rivelata dal Dreamer con l’autorità dell’intelligenza che l’aveva generata.
Una giovane
artista era intenta a decorare microscopici vasetti di vetro. Li dipingeva
dall’interno con pazienza ed abilità incredibili. Ci fermammo davanti al
banchetto e il Dreamer ne osservò i movimenti per un po’ senza fare alcun
commento. Poi, lentamente, dalle mani della ragazza il Suo sguardo si spostò
sul mio viso. Il tempo si dilatò. Quel momento divenne un’eternità e mi persi
in quegli occhi che mi stavano penetrando come nessuno aveva mai fatto prima.
La tenerezza di Carmela, la severità di Giuseppe, l’affetto di un amico, la
venerabilità di un maestro, si concentrarono in quell’unico sguardo che mi rapì
l’anima. Quella
decoratrice
era Lui. Stava indicando il ‘lavoro’, il processo di trasformazione
dall’interno che ogni uomo deve compiere e che nessuno al mondo potrà mai fare
per lui: diventare l’artefice della propria esistenza. Per il balenio di un
istante, fui la creatura faccia a faccia con il suo creatore, senza più
schermi, senza maschere né ruoli. In quell’attimo assaggiai la vastità di
quell’Essere,
ascoltai il Suo respiro senza tempo, senza frontiere, senza limiti, e bevvi una
goccia della Sua libertà. Una vertigine prese il postodei miei pensieri.
Il primo
fotogramma di cui ebbi coscienza, dopo quel momento, fu di essere seduto ad un
tavolo d’angolo in un locale pubblico. L’ambiente era quello di un’antica casa
da tè. Dalla finestra, per quello che potevo vedere, l’intera costruzione, in
legno, mi sembrò eretta su palafitte al centro di un piccolo lago. Il pensiero
corse al Dreamer. Girai intorno lo sguardo alla
Sua ricerca.
Lo trovai lì, seduto accanto a me. Rasserenato, osservai che il locale era
frequentato esclusivamente da cinesi.
Gli
avventori, i loro visi, gli abiti, l’arredamento, sembravano usciti da una
stampa del periodo coloniale quando Shanghai, piccolo villaggio di pescatori,
era agli inizi della sua scalata per diventare uno dei più grandi porti del
mondo.
La voce del
Dreamer, dapprima flebile e lontana, mi raggiunse facendosi spazio tra
l’intenso chiacchiericcio degli avventori diventando sempre più chiara. Dalle
prime parole che percepii mi sembrò che continuasse un discorso già avviato.
« …Ogni problema dell’umanità… dalla criminalità del benessere
alla povertà endemica di intere regioni del pianeta è perciò solo il sintomo di
una malattia mentale.»
Questa
affermazione del Dreamer mi fiondò fuori dal mio stato di torpore. Quelle
parole erano solo il preludio di un annuncio che un giorno avrei riconosciuto
come una delle pietre angolari del Suo sistema di pensiero. Raddrizzai la
schiena lentamente, quasi furtivamente, e mi
disposi ad
un ascolto ancora più attento. Dalla esposizione che seguì emerse che, dalla
notte dei tempi, le sciagure dell’uomo non sono che la materializzazione della
sua incompletezza, il riflesso del suo essere frammentato. Quella frattura
nella psicologia risale alla più lontana
infanzia
dell’umanità…
Ero
completamente sveglio, dolorosamente lucido, quando affermò:
«The world is such because you are such. Il mondo, la realtà che crediamo esterna a noi, è il riverbero
fisico della nostra psicologia, del nostro Essere.»
C’era di che
lambiccarsi il cervello. Intanto due giovani cameriere, nei costumi
tradizionali, si erano avvicinate con il necessario per apparecchiare il nostro
tavolo per il tè. Il Dreamer sospese il Suo discorso per dare attenzione a
quell’operazione che sembrò considerare della più grande importanza. Per lunghi
minuti restò assorto a dirigere e curare ogni particolare di quel minuzioso
rituale. Ero in ansia. Non vedevo l’ora che continuasse. Il segreto dei
millenari mali dell’uomo, e forse la radice della mia stessa infelicità, stava
per essermi rivelato...
Ero stupito
e deluso dal fatto che potesse interrompere un argomento di quella portata per
dedicarsi a qualcosa di così futile. Naturalmente non osai dare voce a quelle
mie considerazioni ma continuai a fomentarle.
Allora
ancora credevo che i pensieri fossero invisibili e che un uomo potesse
nasconderli.
«Non esiste nulla di troppo piccolo o di insignificante! » disse. La Sua affermazione aveva il tono aspro di un rimprovero.
Stava parlando senza guardarmi, apparentemente ancora intento a seguire i
dettagli di quel cerimoniale. Mi sentii colto con le mani nel sacco ed arrossii
per
l’imbarazzo.
«Fa che ogni tua azione sia impeccabile! − disse − Impeccability means not to performe a
single unnecessary action.»
Poi, mentre
sceglieva da una sterminata lista le qualità di tè che avremmo degustato,
disse:
«Quando qualcosa è fatta bene è fatta per sempre! Tutto
l’universo ne è informato e non avrai mai più la necessità di ripeterla…»
Dopo una
breve pausa, aggiunse: «Solo
l’imperfezione si ripete. La perfezione non si ripete mai perché continuamente
trascende se stessa. Una perfetta crisalide deve cessare di essere una
crisalide perfetta e morire per poter accedere ad un essere di ordine
superiore.»
Continuò
dicendomi che, attraverso l’attenzione, regolando i meccanismi interni e gli
ingranaggi più minuti della propria macchina, un uomo sta aggiustando il mondo,
ne può cambiare la storia.
«L’evoluzione dell’universo dipende dall’evoluzione
dell’individuo, dalla sua trasformazione. L’individuale e l’universale sono la
stessa ed identica cosa − affermò − Questa comprensione è all’origine della civiltà e di ogni forma
d’arte... Essa deve ritornare ad essere l’elemento centrale della educazione di
ogni uomo.»
Aggiunse che
il teatro, le danze sacre e tutti i riti inventati dall’umanità avevano avuto
origine da questa realizzazione: everything is connected.
Il più
piccolo movimento nella verticalità, nel mondo della volontà, provoca i
cambiamenti più vasti nel mondo degli eventi.
«The universe is in our brain… is a seed within man which
develops as he pleases − recitò, e aggiunse − Per questo, se un uomo intenzionalmente agisse sulla cosa più
piccola o portasse alla perfezione anche la cosa più semplice…»
« …come fare un tè? » mi sforzai di dire amabilmente
nel tentativo di farmi perdonare le mie precedenti considerazioni, infelici
benché non espresse.
« …o anche soltanto imparare a servirlo impeccabilmente» completò il Dreamer con arguzia, facendo Suo quel gioco e
rilanciandolo.
Notai che a
queste Sue parole le due ragazze si scambiarono uno sguardo e sorrisero.
Immaginai una complicità rispettosa, un’intesa riverente verso il Dreamer. Il
pensiero che anche loro fossero ‘persone di Scuola’ mi attraversò la mente come
un lampo e mi lasciò senza
fiato.
«Con l’impeccabilità di quel gesto avrebbe aggiustato per sempre
il suo universo personale… sarebbe uscito da una fascia accidentale
dell’esistenza, dove tutto è già programmato, dalla nascita fino alla morte, e
avrebbe cambiato il suo destino… Il mondo è il riflesso, una risonanza
dell’Essere…»
Come grani
doro, accuratamente, raccolsi ogni parola di quell’insegnamento sul mio
taccuino e descrissi le speciali circostanze che lo avevano permesso.
❤️
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