giovedì 2 aprile 2015

"L’ECONOMIA E’ L’ARTE DEL SOGNARE" di Stefano D'Anna

                                         IL TRAMONTO DELL'ETA' IMPIEGATIZIA
La nostra epoca assiste con apprensione crescente all'aumento della disoccupazione. Da anni i posti di lavoro si assottigliano a centinaia di migliaia in tutto il mondo e la possibilità di trovare un lavoro dipendente, soprattutto per le nuove generazioni, appare sempre più remota. Al punto che la maledizione biblica “con il sudore del tuo volto ti guadagnerai il pane” sembra in questi anni essersi trasformata in una maledizione ancora più terribile. Eserciti di giovani sono minacciati non tanto di sudare e affaticarsi quanto di non riuscire neppure a varcare la soglia del mondo del lavoro e delle professioni.

E’ nei settori più tradizionali dell'economia che sono più palesi i segnali che la lunga età impiegatizia sta tramontando, e con essa il mito del “posto fisso”.
Per ogni posto di lavoro dipendente che sparisce nei settori più tradizionali dell'economia e nei lavori impiegatizi nuove professioni e intraprese ne prendono il posto nei moderni settori del business, lungo le nuove frontiere dell'economia tracciate dall'industria del tempo libero, dell'ospitalità, dell'arte e della musica, dello spettacolo, dello show business e, in generale, dall'industria dell'entertainment.
I White collars si avviano a diventare una specie in estinzione e l’età impiegatizia, che per due secoli, dal tempo della rivoluzione industriale, si era progressivamente affermata nelle società avanzate, è così giunta a un giro di boa.
L'età impiegatizia, nella sua versione più moderna, ebbe origine circa due secoli fa, quando si cominciò a considerare il tempo come una merce, quando cioè si concepì possibile comprare il tempo degli uomini invece di ciò che essi producono: beni, servizi e idee.
Questo avvenne con la nascita delle grandi imprese, e la necessità, conseguente alla rivoluzione industriale, di disporre di un esercito di milioni di lavoratori "dipendenti", operai o impiegati, pronti a vendere il lavoro delle proprie braccia o il proprio tempo a prezzo fisso, un tanto all'ora o al mese.
Il lavoro dipendente, come moderna versione del lavoro servile, nelle massicce proporzioni che ha assunto, è quindi un fenomeno contemporaneo. Mai prima tanti uomini avevano vissuto una condizione di semi-schiavitù con l'illusione di essere liberi.


L’INSEGNAMENTO A DIPENDERE

Nelle scuole di ogni ordine e grado i giovani sono stati esposti ad un solo messaggio educativo globale: dipendere. Fin da bambini, ore e ore seduti su un banco, per imparare a diventare dei prigionieri senza alcuna aspirazione alla libertà. Un training indispensabile per potere un giorno lavorare da impiegato, senza neppure avvertire la intollerabile dolorosità del dipendere.

A sette anni, come un piccolo spartiate, un bambino entra già nell’esercito triste degli adulti. Ha già ricevuto una descrizione rovesciata del mondo ed un set completo di tutte le convinzioni, dei pregiudizi, delle superstizioni e delle idee che, da adulto, lo faranno appartenere di diritto e per sempre al club planetario degli infelici, dei dipendenti.

"Dipendente". Quante volte l'abbiamo pronunciata ed ascoltata questa parola senza mai renderci conto di come essa denunciasse una condizione intollerabile per la dignità umana e rivelasse che l’impiego è una moderna trasposizione della schiavitù. L'età di Omero considerava la peggiore delle condizioni umane quella del thetes, l'operaio agricolo che per vivere doveva vendere le proprie braccia. Per i greci attaccatissimi alla libertà, dipendere da un altro per la sopravvivenza quotidiana era una servitù intollerabile. La sopravvivenza della loro civiltà dipendeva dal valore dei loro guerrieri e soltanto uomini liberi potevano essere guerrieri, non meno di quanto nella nostra epoca lo spirito di iniziativa e la creatività possono appartenere solo a uomini indipendenti, padroni della propria vita. Secondo Aristotele si sarebbe dovuto rifiutare la qualifica di cittadino a tutti quelli che avevano bisogno di lavorare per vivere. L’esercizio della virtù politica era impraticabile e impossibile per chi conduceva la vita di un salariato o praticava mestieri operai e lavori retribuiti che impediscono allo spirito ogni elevatezza ed ogni agio.
Rivedo la facciata dell’edificio della Rusconi a Milano, in viale Sarca, con l’insegna <<Ingresso Dipendenti>> torreggiante sulla lunga teoria di varchi riservati al loro accesso. Attraverso quelle strettorie, per anni, come un esercito sconfitto, gli impiegati sono passati curvando la testa, come i romani nel Sannio sotto le Forche caudine. Una processione emblematica dei milioni di uomini e donne che hanno barattato la loro libertà, la creatività, in cambio di un impiego; che hanno smesso di credere nella propria unicità in cambio di certezze e protezioni illusorie. “Un giorno, in una società sognante, nessuno dovrà più dipendere. Un’umanità che ama sarà abbastanza ricca per sognare e sarà infinitamente ricca perché sogna”.


L’ECONOMIA E’ L’ARTE DEL SOGNARE
L’economia è fatta da uomini che sognano. Più larga è la visione di un uomo più ricca la sua economia. Il destino di un uomo, di una nazione, di un’intera civiltà dipende dalla sua capacità di volare nelle zone inaccessibili dell’intuito e ancora più in alto dove regna la cosa più reale che ci sia: il sogno. Il destino economico di una nazione, come di un’intera civiltà, dipende da questi uomini, dal “capitale invisibile” di idee, di cultura, di storia, d’arte. Dal sistema dei valori, dal “sogno”. Venuto meno il sogno, inariditi i valori, viene meno anche la ricchezza.
Occorre educare uomini responsabili, capaci di connettersi al sogno del loro paese, di alimentarlo e sostenerlo. L’ampiezza della loro visione si riflette illimitatamente nell’universo economico e ne espande i confini. Senza di essi nessun progresso è possibile.
L’ostacolo principale contro cui si infrangono i progetti più ambiziosi, non sono le risorse finanziarie o naturali, ma la penuria di uomini capaci di sostenerne la responsabilità, di contenere quell’idea luminosa, di crederci con tutte le proprie forze, di pagarne in anticipo il prezzo.
“Economy is a way of thinking. L’economia di un paese, il grado di benessere materiale da esso raggiunto, è il riflesso del modo di pensare e di sentire di quell’umanità. Il sistema dei valori, la qualità del pensiero, è la causa. L’economia è l’effetto”.  La storia della evoluzione sociale e dei sistemi economici è il riflesso dei modi di sentire di una società, una proiezione della sua psicologia, del suo sogno. Dall’economia servile della gleba fino al moderno capitalismo razionale, attraverso Mercantilismo, Protezionismo, Liberalismo, tutte le svolte dell’economia sono state nutrite nel grembo di altrettante rivoluzioni psicologiche.
Così la rivoluzione delle idee ha sempre anticipato, perché lo ha generato, ogni grande cambiamento del sistema di produzione della ricchezza e della sua distribuzione.
L’abbandono di concezioni obsolete e di visioni ristrette del mondo e la loro sostituzione con idee innovative sarebbe impossibile se una nuova visione non trovasse prima spazio nel cuore e nel pensiero di individui dotati di una psicologia più matura, di sognatori pragmatici, tuffatori dell’invisibile capaci di concpire e sostenere idee di una potenza e di una vastità insopportabile per tutti gli altri. In ogni tempo, l’intero corso della civiltà è quindi passato attraverso un collo di bottiglia psicologico: l’esistenza di uomini speciali, individui con un sistema di valori più ampio e profondo, e la responsabilità per sostenere la forza dirompente di nuove idee, vere e proprie svolte nel pensiero che solo nel tempo si sarebbero estese a pochi uomini prima e alla più vasta umanità poi.
Non a caso, proprio nel cinquecento, l’economia esce  dalle ombre feudali ed assume i contorni di quel nuovo sistema che prende il nome di Capitalismo Mercantile, antenato del moderno capitalismo. L’economia è infatti soltanto l’effetto, materiale e visibile, di una causa già prodottasi nel mondo delle idee, la proiezione di cambiamenti più sottili e profondi avvenuti in un mondo superiore, verticale all’economia. Con il De Revolutionibus di Copernico nasce il pensiero moderno che trasloca l’uomo e gli assegna un nuovo posto nella natura. Il cannocchiale e la visione di migliaia di soli abbatterono per sempre limiti interiori, sbalzando l’uomo dal centro ai margini dell’universo e ne dispersero il mondo in uno spazio infinito, cambiandone per sempre la visione e di conseguenza l’economia.
Quando si producono rovesciamenti dei riferimenti mentali di un’epoca, veri e propri shock della psicologia, essi prendono il nome di metanoia. Queste rivoluzioni del pensiero, come un filo d’oro, collegano tutti i grandi cambiamenti della storia dell’uomo. Quando cambia la visione cambia la realtà. Visibilia ex invisibilibus.

                                                   LA RIVOLUZIONE INDIVIDUALE

Finché l’umanità rimane conflittuale, preda della paura e dell’angoscia, la povertà è l’economia. La criminalità è l’economia. Chiunque scoprisse un antidoto alla povertà, alla criminalità, alla malattia, verrebbe aggredito ed eliminato. La povertà endemica di sterminate regioni del pianeta si perpetuerà finché la ragione dell’uomo resterà armata, finché antagonismi come povertà e ricchezza continueranno a combattersi, non nel mondo, come poli opposti dell’esistenza, ma nella coscienza di ogni uomo, insieme a: male e bene, sofferenza e piacere, paura ed amore.
Occorre una Rivoluzione individuale.
Per lottare e vincere la povertà nel mondo bisogna arricchire l’intelligenza, nutrire l’essere dell’individuo, elevarlo. La povertà e la criminalità sono malattie della mente. Bisogna rovesciare l’individuo come un guanto: estirpare il conflitto dalla sua psicologia, la paura dalle sue emozioni, la povertà dalla sua coscienza. Questa è la rivoluzione individuale: il più piccolo innalzamento dell’essere sposta montagne nel mondo dell’economia e della finanza; rimuove popolazioni ed intere civiltà dalla loro povertà storica; trasferisce ere di guerre, di abominio, di paure, cioè un’economia di morte, verso un’economia della pace.
Ogni altra rivoluzione della storia è fallita, sia politicamente che economicamente. La trasformazione vera, la soluzione dei problemi millenari dell’umanità, potrà essere soltanto il prodotto di una rivoluzione psicologica. Noi dobbiamo pensare e sentire diversamente.
Soltanto l’individuo può trasformare la società e migliorarla. La rivoluzione è individuale. E’ l’individuo che deve capire, armonizzare, bilanciare il proprio essere



                                                        

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