lunedì 14 aprile 2014

"Conosci te stesso?" di Stefano D'Anna

Ci sono uomini grandiosi, che spaziano tra i pentagrammi dell’esistenza. E c’è una massa umana rassegnata a eseguire la stessa nenia, un motivo monotono appreso dall’infanzia e mai più
modificato. Se vogliamo cambiare il mondo dobbiamo rivoluzionare la musica dentro noi stessi.

Conosci te stesso», il più celebre aforisma tramandatoci dall’antichità classica, inciso per millenni sul timpano del tempio di Delfi, è forse anche il più inusitato. La difficoltà di dargli concretezza dipende dal fatto che non ci è pervenuta un’informazione necessaria: la conoscenza di sé richiede prioritariamente lo studio di sé. E così queste tre parole di luminosa saggezza sono diventate un motto polveroso. In linea con questa premessa, desidero invitarvi a condurre un esperimento, il più interessante e proficuo che possiate fare: dedicare una giornata a dare attenzione a voi stessi, a osservarvi. Per semplicità e per efficacia, da qui in poi mi rivolgerò direttamente a quell’unico lettore tra voi, quel coraggioso che vorrà trasgredire le porte d’Ercole e affrontare questo straordinario viaggio alla scoperta di sé. Ascolta le parole che pronunci. Classificale. Individua quelle che ripeti più spesso. Osserva i sentimenti che provi. Classificali. Individua le tue reazioni emotive più ricorrenti. Osserva i pensieri che ti attraversano la mente durante questa tua giornata. Prendine nota e classificali. Scopri quelli più insistenti. Con un minimo di distacco ti accorgerai che quelli che credi pensieri sono in realtà preoccupazioni e dubbi. Scopri quelli che affiorano con più ostinazione. Infine, metti ordine nella varietà delle sensazioni fisiche che provi nella tua giornata. Una volta disposte in classi, ti accorgerai che anche queste si ripetono e che c’è poco di nuovo anche nelle tue sensazioni.

Se persisterai, vedrai la tua ricerca trasformarsi in un’indagine inquietante che ti renderà evidente che sei un essere monotono, che la tua «macchina» è già programmata e che solo impropriamente chiami «mie» le sensazioni che senti, le emozioni che provi. In realtà, esse sono le stesse di migliaia di uomini e donne. Finché arriverai a scoprire, ma sentirai il fiato venirti meno, che sono milioni, miliardi gli esseri che hanno i tuoi stessi pensieri, che pronunciano esattamente le tue stesse parole, che hanno le tue stesse reazioni. Quando sarai più attento alle note che emetti, quando avrai accumulato sufficiente materiale di osservazione, ne potrai riconoscere la mono-tonia; allora, solo allora, potrà sorgere la volontà di allargare il pentagramma della tua vita. A questo punto scoprirai quanto è difficile suonare anche una sola nota che esca dalla ristretta gamma delle tonalità in cui ti sei ridotto a vivere. Osserverai che cambiare anche un solo vocabolo del tuo lessico giornaliero, accettare una nuova idea, trasformare un atteggiamento, una reazione, interrompere una routine, uscire dalla ripetitività meccanica di gesti e reazioni sarà come spostare una montagna.
E allora saprai che il processo di invecchiamento, di irrigidimento, è iniziato da tempo e che presto non lo potrai più contrastare. Come uno strumento musicale che vibra a un certo ritmo, e può emettere solo quel suono, un uomo ordinario canta sempre la stessa canzone occupando solo una strettissima fascia nell’infinito delle tonalità, delle vibrazioni, dei suoni possibili. Per contro esistono uomini che hanno un’ampiezza espressiva più grande di altri. Come un pianoforte che rispetto agli altri strumenti ha una vastità di ottave tale da usare due pentagrammi, questi individui nutrono un sogno troppo vasto per essere contenuto nella stretta fascia di note che basta al resto dell’umanità. Ci sono musicisti grandiosi, titani che spaziano tra i pentagrammi dell’esistenza, che creano e captano la loro musica dall’immenso, dall’alto, e c’è una massa umana rassegnata a eseguire la sua nenia, un motivo lamentoso appreso dall’infanzia e mai più modificato, martellando pochi tasti con un dito solo. Ricchi e poveri, politici e impiegati, premi Nobel e uomini comuni, ognuno canta dentro di sé la sua canzone, ognuno porta con sé la propria prigione, ingessata nelle proprie abitudini, crocifissa nel proprio ruolo.
Quando gli uomini si incontrano, sia pure senza esserne consapevoli, essi si ascoltano. La qualità, l’ampiezza e la profondità del loro canto forma una gerarchia, una piramide della responsabilità, sui cui gradini, dalla base al vertice, ciascuno va a occupare il posto che gli spetta. Due businessman fanno affari perché si è creata tra loro una fusione di ritmi, c’è una compatibilità di suoni. Un’azienda incorpora un’altra azienda per l’ampiezza della sua musica. Una civiltà conquista un’altra civiltà e la sottomette, l’assimila per la vastità del suo canto, per l’ampiezza delle ottave, per la qualità dei suoni, per la ricchezza, la forza della sua musica. Il segreto dei segreti è che il mondo esterno, quello che chiamiamo realtà e che ci appare come materia solida, è invece sostanza psicologica, malleabile, che prende forma a quel ritmo, obbedisce a quel suono, a quella vibrazione. Il mondo è stretto o meno stretto, largo o meno largo, generoso o misero, a seconda dell’ampiezza della tua canzone. Il tuo destino è registrato come nei solchi di un lp. Tradotto per i nostri ragazzi, i nuovi barbari, potremmo dire che il mondo è un chewing-gum che prende la forma dei tuoi denti. Una volta capito questo, un individuo non può avere altro obiettivo nella sua vita che evadere da questa strettoia dell’essere, dalla monotonia e dalla povertà della propria musica che a un certo punto diventa dolore nel corpo, paura nelle emozioni e dubbio nella mente. Se vuoi cambiare il mondo cambia musica. It is all up to you.

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