domenica 13 aprile 2014

“La malattia più grave dell’uomo è la dipendenza”

La sindrome di Narciso

“La tua fede più incrollabile... la tua convinzione più nociva, è che esista un mondo
esterno a te, qualcuno o qualcosa da cui dipendere, qualcuno o qualcosa che possa
darti o toglierti, eleggerti o condannarti” - disse il Dreamer.
“Se un guerriero credesse, anche solo per un attimo, in un aiuto esterno, perderebbe
all’istante la sua invulnerabilità” affermò. Poi tacque e chiuse gli occhi. Mi occupai
annotando le Sue ultime parole sul taccuino. Ma quella pausa si prolungava. Tentai di
superare l’imbarazzo della mia estraneità e della mia improvvisa superfluità rileggendo
mentalmente alcune parti dei miei appunti. Finalmente il Dreamer uscì dal Suo
silenzio e ad occhi chiusi recitò:
There is nothing out there...
There is no help coming from anywhere at all...
“La malattia più grave dell’uomo è la dipendenza” annunciò in tono severo.
Immediatamente entrai in uno stato di vigilanza. Nel corpo sentii senza possibilità di
errore l’importanza di questa affermazione e la centralità da assegnarle nel mio nuovo
sistema di convinzioni. “Non c’è danno più grave che dipendere dagli altri, dal loro
giudizio... Per liberarsi da tutto questo occorre una lunga preparazione...”.
Come avrei notato in seguito, osservando la mia attitudine in questa occasione e
in altre simili, quello che accettavo senza troppe resistenze, o che addirittura mi
trovava subito convinto, quando il Dreamer si riferiva all’umanità in generale, trovava
in me resistenze inespugnabili quando mi prendeva di petto e si rivolgeva a me in
prima persona..

“La gente come te... si sente viva solo in mezzo agli altri... preferisce i ritrovi
affollati... trova lavoro nelle amministrazioni statali o si impiega nelle grandi
aziende... ovunque possa sentire lo strofinio rassicurante della moltitudine... Celebra
tutti i rituali della dipendenza e ne affolla i templi: cinema, teatri, ospedali, stadi,
tribunali, chiese, pur di stare con gli altri, pur di sfuggire a se stessa, al peso
insostenibile della propria solitudine” incalzò il Dreamer.
Ebbi un moto animalesco di difesa. Un’insopprimibile ostilità mi oscurò l’essere,
quasi quelle parole minacciassero qualcosa di vitale, o buttassero all’aria un piano da
tempo preordinato. Mentalmente allineai, come i proiettili di un mortaio, tutte le
cattiverie che avrei voluto dirGli. Uno sguardo interno tentò di rimuovere quella
moltitudine vergognosa, ma riuscì solo a disegnarmi sul volto una smorfia di dolore.
Il Dreamer saggiò le mura della mia resistenza. Sapeva come aprirvi una breccia.
Abbozzò un sorriso di ferocia, come se stesse per sferrarmi un colpo, e disse a voce
bassa:
“Un uomo come te si ammala ed è pronto a farsi fare a pezzi dai chirurghi... dagli
sciamani di una scienza ancora primordiale, pur di attrarre l’attenzione... pur di
aggrapparsi al mondo”. Boccheggiai, come per un pugno allo stomaco. Il Dreamer
lasciò passare qualche secondo come se mi contasse, arbitro ed avversario allo stesso
tempo.
“Ricordi il quadro?” mi chiese a bruciapelo, cambiando totalmente attitudine e
tono. Ogni volta mi sconcertava. Non mi sarei mai assuefatto a questi mutamenti
radicali che eseguiva con la subitaneità e una maestria che non avevo visto in nessun
altro. Mi stupiva la Sua capacità di trasformarsi in un essere totalmente nuovo, di
passare al momento successivo senza portarsi dietro neppure un atomo di quello
precedente. Capii subito che la Sua domanda si riferiva al dipinto che avevo ammirato
prima di entrare in quella serra, dov’eravamo. Ripassai mentalmente l’immagine di
Narciso che si specchia nelle acque dello stagno qualche istante prima di venirne
ingoiato.
“È la storia emblematica dell’uomo intrappolato nel riflesso di sé”
- espose il
Dreamer non nascondendo l’ilarità che gli suscitavano i miei tentativi, ancora
infruttuosi, di adeguare i muscoli del viso al Suo improvviso cambiamento di soggetto
e di umore - “La favola di Narciso è la metafora dell’uomo che diventa vittima del
mondo”. Continuò rivelandomi che, contrariamente alla convinzione comune, Narciso
non si innamora di sé ma dell’immagine riflessa nell’acqua, senza realizzare che
quella è solo un’immagine. Credendo di vedere un essere esterno a sé, un’altra
creatura, se ne invaghisce, cade nell’acqua e miseramente vi annega.
“Once you realize that the world is the projection of yourself, you are free of it”
concluse il Dreamer.
Estratto da: "La Scuola degli Dei di Stefano D'Anna"

                                          Joh William Waterhouse, Eco e Narciso (1903)

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