martedì 22 aprile 2014

"La Leggenda del padre di Buddha" di Stefano D'Anna

La storia non ha mai insegnato nulla all’uomo, pertanto dovremmo smettere di tramandare
gli orrori del passato. Sarebbe decisamente meglio insegnare ai
nostri figli che il tempo andato è polvere e che basta un soffio per farlo svanire nel nulla...

Historia magistra vitae est», affermava Cicerone nel De oratore. Ma può, la storia, essere davvero considerata una maestra di vita? Sin dall’infanzia ci portiamo dietro un timore reverenziale per gli eventi e i tempi andati, e per il passato in generale. In tutte le scuole del mondo, quasi per effetto di una cospirazione planetaria, i curricula scolastici impongono come obbligatoria una materia il cui scopo è quello di mantenere viva la memoria di ogni sorta di malvagità perpetrata da uomini nei confronti di altri uomini, fazioni contro altre fazioni, nazioni contro altre nazioni. Vero è che nulla abbiamo fin qui appreso da quella interminabile sequela di disastri che chiamiamo storia e nulla apprenderemo finché non avremo capito che i conflitti procedono dall’interno all’esterno. È forse arrivato il momento di renderci conto dell’assurdità di tramandare ai nostri figli una storia fatta di orrori, governata dal caso e dalla criminalità. So che la maggior parte delle persone obietterebbero che senza la memoria storica non potremmo evitare di commettere di nuovo gli stessi errori del passato. E allora, se veramente impariamo dalla storia, cosa pensare della Seconda guerra mondiale che segue a ruota la prima ripresentando gli stessi orrori in meno di una generazione?
Esiste un impulso viscerale nell’uomo che vuole far sopravvivere e perpetuare il passato, al punto che si potrebbe quasi dire che l’umanità non ha davanti a sé un vero futuro, ma solo un passato che si ripete, che ci mettiamo illusoriamente davanti sotto la falsa parvenza di futuro. Non sono l’esperienza e il ricordo di errori passati che possono trasformare l’umanità o cambiare il suo destino. Questa incapacità di imparare dalla storia spiega perché, attraverso i millenni, la nostra civiltà sia stata costantemente contraddistinta da un destino così terribile, e perché non esistono sogni. Non c’è un solo film o romanzo che tracci un quadro ottimistico del futuro della nostra specie, ma solo distopie, visioni apocalittiche e profezie di sventura. I temi esplorati da Aldous Huxley in Il mondo nuovo, da Orwell in 1984, da Ayn Rand in Inno, o in film quali Blade Runner, sono profezie di una società totalitaria e di soppressione dell’individualismo. Le nostre predizioni sono proiezioni delle nostre paure, dei nostri incubi di tirannie psicologiche in grado di contare ogni nostro respiro, e di un mondo governato dal potere oppressivo dei grandi apparati di produzione e di monopoli planetari. Guardando agli eventi storici da una prospettiva più alta, ci si rende conto che le guerre e le rivoluzioni, le crociate e le persecuzioni, l’ascesa e la caduta degli imperi non sono altro che la proiezione materiale.

della nostra immaginazione negativa e delle profezie più tetre che si avverano per il fatto stesso che sono state annunciate. È ora di riconoscerle per quello che sono: immondizia sfuggita a una scopa cosmica. Sarebbe decisamente meglio raccontare ai nostri figli che il passato è polvere e insegnare loro che basta un soffio per vederlo svanire nel nulla. Dovremmo ricominciare a raccontare loro i miti, le leggende e le vecchie favole che appartengono all’arte dei misteri. L’arte di rivelare e al contempo nascondere. Nei miei studi, ho scoperto le idee più illuminanti e di maggior ispirazione in storie per bambini e in alcune leggende come questa, poco nota, che riporto di seguito.
C’era una volta un re che decise di proteggere suo figlio da qualsiasi messaggio di degradazione, dal concetto di limite e perfino da qualsiasi racconto, scena o notizia di crimini o orrori, fossero essi relativi a periodi storici o relativi al tempo corrente in cui vivevano. Si assicurò personalmente che il giovane principe fosse costantemente circondato da gioia, bellezza e benessere. A questo fine, cambiava regolarmente i membri della corte e sceglieva con attenzione i servi che accudivano suo figlio. Essi avevano l’ordine di filtrare ogni notizia del mondo e di non permettere che neppure un atomo di negatività raggiungesse il principe. Lo stesso padre, il re, si truccava, si tingeva i capelli e la barba per rimandare a un tempo quanto più lontano possibile che i concetti di malattia, invecchiamento e morte entrassero a far parte della visione del giovane principe. Suo padre aveva capito l’importanza di trasmettere al figlio una descrizione quanto più alta possibile del mondo ed era consapevole degli effetti che le credenze hanno sul corpo e sulla mente di un giovane.
Il giovane principe di questa storia diventerà poi il Buddha e la leggenda della sua educazione resterà per sempre fonte d’ispirazione per aver concepito un’educazione all’immortalità, una scuola per giovani addestrati a concepire la propria vita senza limiti e senza fine. Il re, suo padre, per il fatto di aver sognato per il figlio un mondo in cui malattia e invecchiamento fossero banditi, un mondo libero da ogni conflitto e malvagità, e per aver fatto ogni sforzo per proteggerlo da una descrizione spregevole e mortale dell’esistenza, dovrebbe essere celebrato come uno dei padri dell’umanità e tra i pionieri più coraggiosi dell’intera storia dell’educazione umana. Non è un caso che la tradizione lo ha voluto re, uomo reale/regale. Nell’Olimpo dei grandi eroi, il suo mito merita un posto a fianco di Prometeo, il titano che rubò il fuoco agli dei per amore dell’umanità.


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